Ci sono momenti storici che esprimono eccellenze di valore assoluto, nate nell’arco di poche decine di anni: Mozart nel 1756, Beethoven nel 1770, Schubert nel 1797.
Hegel nel 1770, Schopenhauer nel 1788, Schelling nel 1775, Feuerbach nel 1804, Stirner nel 1806, Kierkegaard nel 1813, Marx nel 1818, Engel nel 1820, Nietzsche nel 1844, Bergson nel 1849, Simmel nel 1858.
Planck nel 1858, Einstein nel 1879, Bohr nel 1885, Schrödinger nel 1887, Pauli nel 1900, Heisenberg nel 1901.
E poi Freud nel 1856, Adler nel 1870, Jung nel 1875, Schweitzer nel 1875; Proust nel 1871, Joyce nel 1882. L’elenco è lungo e necessariamente incompleto.
Pochi anni di differenza tra persone che hanno fatto la storia dell’arte, della scienza, della letteratura, della filosofia, allo stesso tempo espressione e definizione dello spirito del tempo in cui vissero. Difficile pensare ad un caso, piuttosto ad un fermento culturale talmente intenso da permettere a loro di emergere in quanto interpreti.

In attesa di sapere chi, tra i nostri contemporanei, passerà alla storia, possiamo comunque ricavare una traccia dello Spirito dei nostri tempi semplicemente guardandoci attorno e soffermando la nostra attenzione anche sugli aspetti più banali del nostro quotidiano, con gli occhi del contadino esperto che osserva la terra per capire i frutti che ne potranno scaturire.
Lo spirito dei nostri tempi lo troviamo nella rinnovata attitudine di coloro che hanno delle responsabilità a tirarsi indietro: politici e dirigenti che, per timore di perdere consensi o di essere sanzionati, preferiscono non scegliere, quando invece il loro compito è farlo.
Lo spirito dei nostri tempi lo troviamo nella scelta di coloro che non hanno prospettive di individuare come nemico quelli che stanno peggio, e non la (ricca ma soprattutto inadeguata) classe dirigente che li ha fatti precipitare nel baratro di un presente incerto e di un futuro ancora più indeterminato.

Lo spirito dei nostri tempi lo troviamo nelle locandine dei giornali, dove l’inutile spreco di aggettivi che non servono a niente, neppure a vendere più copie (ORRORE! TERRORE! TRAGEDIA!), rivela la consuetudine all’asservimento dei media ad una cultura dove la drammatizzazione ha sostituito i contenuti della cronaca.
Lo spirito dei nostri tempi lo troviamo nel successo che hanno i format televisivi che mettono in scena i sentimenti, ,così che il pubblico possa viverli per interposta persona, relegandosi ad essere sempre più spettatore che attore della propria vita.
Lo spirito dei nostri tempi lo troviamo nella compulsione dei social, dove la condivisione di contenuti per lo più effimeri spesso è frutto non di una esigenza, ma dell’abitudine indotta dalla tecnica, a scapito dei contatti fisici con le persone che appartengono alla propria rete relazionale.

Lo spirito dei nostri tempi lo troviamo nell’incapacità di trovare soluzioni alla precarietà delle nostre vite, sia per noi fortunati cittadini dei Paesi più ricchi, che per coloro che hanno avuto la sorte di nascere in luoghi poveri o falcidiati dalle guerre.
Lo spirito dei nostri tempi lo troviamo nelle discussioni politiche nelle quali è completamente assente il merito, ma prevalgono la disinformazione, i pregiudizi, gli interessi di parte e persino la stupidità.
Sono tempi difficili come altri lo sono stati, ma con una sostanziale differenza: sono i primi nei quali la quantità nel e la velocità delle informazioni che riceviamo supera in modo esponenziale la nostra capacità di elaborarle, disabituandoci, generazione dopo generazione, a gestire i tempi dell’apprendimento, espandendo all’infinito il nostro hard disk senza lavorare sul software.
Ieri si cominciava dall’alfabeto, e la lettura di un testo modulava naturalmente i tempi per la sua comprensione, strutturando la capacità di apprendere e di tradurla in quella di analisi, rendendo le nozioni strumenti. Oggi leggere è diventato desueto, insopportabilmente lento e noioso, perché siamo abituati a qualcuno che lo fa per noi, restituendoci una narrazione per voce e immagini, così che, anziché formarci una opinione, senza fatica facciamo nostra quella che ci viene raccontata. E nello stesso modo scegliamo seguendo coordinate sempre più sociali, anziché individuali.

L’analfabetismo di ritorno, la difficoltà di concentrazione – specie dei più piccoli abituati da subito alla velocità dei videogiochi –, l’impoverimento del vocabolario (come può articolarsi un pensiero complesso senza un lessico adeguato?) sono alcuni tra gli effetti di una sovra-stimolazione che è cominciata con l’avvento della televisione di massa negli anni ’80, ed è culminata con la diffusione della rete internet e delle sue applicazioni.
Non voglio dire che era meglio prima, perché è una comparazione senza senso, ma solo che da dove siamo oggi, non è più possibile tornare indietro. E che sono preoccupato: da questa affermazione di un pensiero semplice di cui troviamo conferme in ogni dove, dalla perdita della memoria di ciò che è stato, dal disinteresse diffuso per tutto ciò che non è la propria squadra di calcio o il talent show del momento, dagli orientamenti forgiati dall’ascolto frettoloso di una trasmissione televisiva. Parecchio preoccupato.