mercoledì, Aprile 24, 2024

Liberi ma esiliati: le torture degli Huthi in Yemen

Liberi ma esiliati. Soli ma vivi. Questo è ciò che attende chi si oppone agli Huthi in Yemen. Quando va bene. Dal momento in cui sono saliti al potere, nel 2015, i ribelli hanno sottoposto centinaia di persone ad arresti arbitrari. Oltre a reiterate violazioni dei diritti umani. Tra cui torture e abusi. In un recente rapporto, Amnesty International raccoglie le testimonianze di 12 persone scarcerate. Mentre molte altre sono in pericolo.

Liberi di essere esiliati?

Sparizioni, maltrattamenti, torture. Ma anche processi iniqui e repressione degli oppositori politici. L’intolleranza dei ribelli Huthi verso i dissidenti non ha limiti. E riguarda anche giornalisti, accademici e rappresentanti delle minoranze religiose. Tra cui la comunità baha’i. Oggi sappiamo quanto accade in quelle prigioni grazie al racconto dei sopravvissuti. Esiliati. Ma facciamo un passo indietro. A luglio 2020, le autorità Huthi avevano rilasciato sei membri della comunità baha’i attraverso un accordo mediato dalle Nazioni Unite. Questo primo tentativo fu riproposto in seguito. Più precisamente nell’ottobre di quell’anno, quando gli Huthi e la comunità internazionale concordarono uno altro scambio di prigionieri, cui partecipò anche il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR).

Trattare con vite umane

Allora, 1.056 detenuti furono rilasciati. La maggior parte erano combattenti, ma nel gruppo c’erano anche alcuni civili. Di cui sette giornalisti, quattro fedeli baha’i e un funzionario pubblico. Erano stati incarcerati illegalmente per aver esercitato pacificamente i propri diritti. Oggi, un rapporto di Amnesty International racconta il loro calvario. Violenze e percosse. Ma anche minacce e torture. Come rimanere a lungo immobili nella stessa posizione. Detenuti in celle buie e sovraffollate. O, al contrario, in totale isolamento. Sottoposti a estenuanti interrogatori, anche dall’intelligence yemenita. E diniego di cure mediche. Secondo Amnesty, in tutti i casi i detenuti hanno sviluppato patologie croniche a causa delle condizioni di detenzione.

Liberi di essere esiliati e condannati

A seguito dell’arresto ingiustificato, i prigionieri vengono tradotti da un istituto penitenziario all’altro. Tra cui il Criminal Investigation, l’Ufficio per la sicurezza politica e l’Ufficio per la sicurezza nazionale. Dei dodici yemeniti intervistati dalla ong, dieci di loro sono rimasti in custodia cautelare dai due ai tre anni. Senza che venissero formulate accuse nei loro confronti. Mentre per coloro ai quali, alla fine, si dispose il rinvio a giudizio, sono comparsi davanti alla corte penale speciale (SCC) di Sana’a, la capitale. Un tribunale riservato ai casi legati al terrorismo. Qui avrebbero risposto di false accuse di spionaggio. Un reato punito con la pena di morte ai sensi dalla legge yemenita.


Conflitto in Yemen: in 6 anni uccisi 2300 bambini


Condannati ante processo

In Yemen gli oppositori politici, o presunti tali, sono condannati prima ancora di essere accusati. Anche quando vengano formulate le accuse, non viene riconosciuto loro il diritto al giusto processo né alla difesa. Da una parte sono procedimenti sommari, oltre che gravemente viziati. Mentre non sono forniti mezzi per contestare la legittimità della detenzione. Dall’altra, non viene garantito ai detenuti il diritto alla difesa. Non potendo contattare, ad esempio, un avvocato che li assista. Per di più, gli stessi tribunali evitano di accogliere le denunce degli imputati. I quali dichiaravano di aver subito torture e abusi durante la detenzione. Anche allo scopo di estorcere una confessione.

Esiliati e talvolta nemmeno liberi

Ma non è tutto. Talvolta, i prigionieri non vengono liberati nemmeno dopo la sentenza di assoluzione. Questo era accaduto, ad esempio, a marzo e ad aprile 2020. Quando il tribunale aveva ritirato le accuse ordinando il rilascio di nove dei 12 detenuti intervistati da Amnesty. Le autorità li avevano rilasciati solo mesi dopo, come “merce di scambio” in accordi politici. Non solo. A seguito della scarcerazione, i funzionari Huthi hanno costretto i quattro rappresentanti della comunità baha’i a lasciare lo Yemen. Il Paese dove sono nati e cresciuti. Allo stesso modo, almeno otto degli altri detenuti si sono visti costretti a trasferirsi in zone del Paese. Quelle sotto il controllo del governo yemenita riconosciuto a livello internazionale. Separati dalle loro famiglie.

Detenuti nel limbo

Anche il 30 luglio 2020, i sei baha’i scarcerati erano stati portati subito all’aeroporto della capitale. Dopo sette anni di detenzione erano stati imbarcati su un aereo delle Nazioni Unite diretto in Etiopia. Anche in quell’occasione senza vedere né salutare i propri cari. Eppure vivi. E liberi. Diversamente da altri prigionieri che sono ancora detenuti in maniera illegale. Dal canto suo, Amnesty ha già documentato 35 casi. Ma la lista è più lunga. Al momento, la preoccupazione è per i giornalisti accusati da un tribunale Huthi di aver passato informazioni “al nemico”. Sulla base di quanto accaduto in passato, potranno essere rilasciati solo nel contesto limitato delle trattative politiche.


Scontro Yemen Arabia Saudita: sale la tensione a Riad


La situazione in Yemen

Dal 2012, Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani, comprese le Nazioni Unite, hanno documentato numerose violazioni in Yemen. Per di più commesse da tutte le parti in conflitto. Quindi non solo dal governo yemenita riconosciuto dalle autorità internazionali. E sostenuto dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Ma anche dalle forze di sicurezza locali sostenute dagli Emirati Arabi Uniti (EAU). Nonché dalle milizie degli Emirati Arabi Uniti e dai ribelli Huthi. Che governano di fatto gran parte del Paese. Queste violazioni, alcune delle quali veri crimini di guerra, comprendono la detenzione arbitraria, la tortura e altri abusi.

Le violazioni in Yemen

Le violazioni comprendono sia le libertà fondamentali, come il diritto alla libertà di espressione, associazione e credo religioso. Sia le garanzie a un giusto processo ai sensi del diritto internazionale. Tra cui il diritto a essere informati immediatamente dei motivi dell’arresto o della detenzione nonché delle accuse a proprio carico. Ma anche di ricevere assistenza legale per tutto il procedimento: dall’inizio della detenzione e in caso di interrogatorio. Fino al momento della sentenza. Inoltre, agli imputati devono essere garantiti i mezzi per contestare le misure cautelari eseguite nei loro confronti. Oltre a garantire loro tempi e mezzi adeguati per preparare la difesa.


Crisi Yemen: l’appello del Papa sul conflitto


I prossimi passi

Con i negoziati in corso, Amnesty International ha esortato le autorità Huthi a non utilizzare i detenuti per scopi politici. Tantomeno come leva finanziaria per raggiungere i propri interessi. In tal senso, ha chiesto di rilasciare immediatamente tutte le persone detenute in maniera illegale. E per aver manifestato la loro opinione, affiliazione politica o convinzioni religiose. “Il loro rilascio non dovrebbe dipendere o essere condizionato dallo stato dei negoziati politici“, si legge nel rapporto. “In nessun caso gli accordi negoziati devono essere esplicitamente o implicitamente includere una clausola sul loro esilio o trasferimento forzato”. Inoltre, l’organizzazione ha chiesto di consentire il ritorno delle persone esiliate e delle loro famiglie nei luoghi di origine.

Per non essere più liberi ma esiliati

Infine, “Le autorità dovrebbero affrontare il sovraffollamento delle carceri, anche rilasciando immediatamente e incondizionatamente tutti gli attivisti politici, i difensori dei diritti umani e gli altri detenuti solo per aver esercitato pacificamente i propri diritti“. Oltre a “Rilasciare gli altri detenuti illegalmente e dare la priorità al rilascio anticipato o condizionato dei prigionieri ad alto rischio, come i più anziani o quelli con gravi patologie“. Quantomeno, le condizioni di detenzione devono soddisfare gli standard imposti dalle Nazioni Unite per il trattamento di Prigionieri. Conosciuti come “regole di Nelson Mandela”. Soprattutto quando si tratti di accesso a cibo, acqua pulita, servizi igienico-sanitari e assistenza sanitaria.

Related Articles

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

- Advertisement -spot_img

Latest Articles