Lettere di soldati italiani. La penna nel buio della trincea

Parole scritte male, pause inesistenti, punteggiatura casuale e frasi attaccate l’una all’altra compongono una preziosa e considerevole raccolta di lettere di soldati italiani. Missive e pensieri scritti dai soldati durante i durissimi anni della Prima Guerra Mondiale.

Le frasi sono scritte male. Gli errori di ortografia non si contano ma ogni parola vive e urla le emozioni di tutti gli uomini prigionieri della guerra.

Consacrazione alla patria e odio per il nemico. Rabbia per le ingiustizie di padroni dispotici e mancanza di amore e di carezze. Questo si coglie tra le righe delle lettere.

lettere di soldati italiani: banco e penna

Lettere di soldati italiani: il significato al di là delle parole

Lo studioso Antonio Gibelli ha definito le lettere dei soldati “lettere popolari tutt’altro che documenti di persone semplici”. Bisogna prendere consapevolezza del regime di censura in cui le lettere furono scritte. Fare i conti anche con lo stravolgimento sociale inflitto dalla Prima Guerra Mondiale.

Non sono solo ufficiali e sottoufficiali di estrazione borghese a scrivere. Anche i soldati semplici, uomini provenienti da periferie di paesi sconosciuti e da campagne nascoste. In quegli anni tantissimi fanti impararono a scrivere. Moltissimi familiarizzarono con una pratica a cui, fino ad allora, avevano fatto ricorso solo di rado.

Le parole delle lettere dei soldati italiani

Quasi quattro miliardi le lettere e le cartoline postali appartenenti al periodo della Prima Guerra Mondiale. La cifra è strabiliante se si considera l’elevato tasso di analfabetismo presente in Italia. La poca dimistichezza con la scrittura è evidente. Tutte le incertezze grammaticali riflettono l’angoscia e la paura dei combattenti.

Queste lettere nella loro struggente commozione, negli errori e nelle frasi in malora sono un tesoro dal valore inestimabile. Oggi proponiamo alcuni estratti che ricalcano pedissequamente le originali missive.

Il primo estratto è tratto da Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra. Con una raccolta di lettere inedite di Giovanna Procacci.

Il signor N.N. dalla zona di guerra del Monte Calvario a ovest di Gorizia nel gennaio 1916 scrive così: “Carissimo Romeo […] sono ancora vivo malepaure nonsono state poche avendo la morte spessevolte vicina. Questo monte e tutto riarsato di cadaveri anche molti miei compagni. Anno lasciatolavita Padri di Famiglia improrando il nome della Moglie e i propri figli elle terre Ingrassata dal sangue e Grasso Umano nonposso tutto descriverli perche mi occorrerebbe ungiornale edu mese di tempo nonessendo struito“.

lettere di soldati italiani morti al fronte

La non civiltà al fronte

Sempre N.N. scrive della vita al fronte. Parla di non civiltà e di come i soldati semplici soccombono alla volontà dei comandanti.

[…] Ora voglio dirle un poco come siamo trattati dai superiori la civiltà e ligiene italiana, le faccio noto che il comandante di Battaglione e un Capitano i comandanti di Compagnia sotto Tenenti e lemgio parole sono danimali. In prima linea cimandano noi elloro dietro nel trincierone al sicuro e cidicono avanti, avanti senno visparo. Melavedo proprio male senonviene la pace none possibile ritornare specie apprima vera colle mallattie infette. Sono 64 giorni che mi trovo al fronte senza mai spogliarmi in mezo al fango Freddo acqua e tutte le intemperie cuasi none credibile e senza mai cambiarmi i panni…mi raccomando di nonfarlo sapere ammia Moglie. Mi firmo suo affezionatissimo N.N. per sospetto della censura […] addio speriamo bene la pace e perdoni gli errori“.


2 agosto 1914: la dichiarazione di neutralità dell’Italia


Sparare a un commilitone!

Il seguente estratto invece proviene dal saggio di Roberto Navarrini: Le fonti documentarie della Grande Guerra. Il signor Molinari Giovanni scrive alla moglie: “Ma fra di me tengo una cosa che non mi dimenticherò più. Giorni indietro proprio a me sei dei miei compagni mie toccato andare a fucilare uno della nostra compagnia. Cuesto cui cuando eravamo sul Podgora si era allontanato dalla compagnia nel giorno che bisognava avansare. Poverino si vede che non aveva coraggio e per cuesto a avuto la fucilazione. Lanno fatto sedere su di una pietra e la è bisognato spararci per forsa perchè dietro di noi cera la mitrgliatrice. Si è comandati di non rifiutarsi e io son molto dispiaciuto benche ne ò visti tanti di morti, ma così mi ha fatto senso“.

Sono prigioniero!

Un’altra missiva estratta dal lavoro di Giovanna Procacci:

“[…] Cara Mamma […] ho ricevuto una lettera della sorella che diceva che ero disertore […]. Non ci mancherebbe altro dopo aver fatto il mio dovere. Io sono stato comandato di servizio di pattuglia con il Tenente e sergente, due caporali e 10 soldati, e siamo andati dentro il Castello di Plezzo, e siamo stati circondati dai soldati austriaci, e poi hanno incendiato questo castello con l’artiglieria. Dentro non si poteva più resistere dal grande fuoco, o morire abbruciati o prigionieri. Eseguiti tutti i comandi del Tenente, fatto modo e possibile per ritirarsi sulla nostra posizione, ma non siamo potuti più scappare, credo che abbiamo fatto il nostro dovere […]“.

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