giovedì, Aprile 18, 2024

Lavorare in un call center. Fra ciò che si dice e ciò che si dovrebbe, stipendi in dubbio e provvigioni ridicole

Lei è S. e ha 25 anni. Lavora per un call center outbound e ci ha concesso un poco del suo tempo per una chiacchierata che ci descriva la sua esperienza in questo mondo. Prima di tutto, allora, chiariamo un punto: esistono fondamentalmente due tipi di call center: gli inbound (i cui addetti possono lavorare per società private, oppure per aziende pubbliche o a Enti statali) sono quelli in cui l’operatore attende di essere contattato e presta un servizio di assistenza tecnica, oppure prettamente informativo;  gli outbound, invece, sono quelli in cui il telefonista deve, per primo, effettuare la chiamata, contattare il cliente e, possibilmente, chiudere un contratto.

La nostra amica, ad oggi, lavora per questa seconda categoria; non è la sua prima avventura nel telemarketing, quella si è conclusa qualche tempo fa, con un’azienda di apparecchiature acustiche del siracusano. “Ho lavorato con loro per qualche mese” ci spiega “assunta in prova. Prova che sarebbe dovuta durare un mese e che, invece, ne è durata tre. Poi, la società ha chiuso i battenti e io sono rimasta a casa”.

 

E come sei approdata a questo call center?

E’ un outbound che si occupa di promozioni per una nota compagnia telefonica: un’amica di mia sorella ci ha informate che cercavano personale e assicuravano un fisso mensile, oltre al corrispettivo su ogni contratto: non è la norma, purtroppo, così abbiamo consegnato il nostro curriculum ed entrambe ci siamo candidate per quei posti. Ci hanno sottoposto a un colloquio, poi ci hanno confermato che eravamo assunte e che potevamo iniziare a lavorare, dopo un breve periodo di formazione.

Questa volta, quindi, il contratto vero e proprio, c’è?

Non esattamente: avevo già concluso la formazione e lavoravo già, quando mi hanno messo sotto il naso un tablet e mi hanno chiesto di apporre qualche firma digitale su dei documenti a display. Onestamente, non ho guardato che stessi firmando: ero già lì e, comunque, non avevo di meglio per le mani. Sarei rimasta in ogni caso. Ho chiesto di nuovo, anche recentemente, di poter visionare il mio contratto: la nostra responsabile mi ha garantito me lo invierà presto via mail.

In cosa consiste la vostra formazione? Su cosa vi hanno istruito?

La formazione si compone di qualche giorno di teoria, in cui ti espongono le promozioni che sarai, poi, impegnato a proporre. In quell’occasione ti spiegano bene i dettagli di ogni offerta, poi ti indicano cosa tu debba dire al cliente e cosa, invece, devi tralasciare. Seguono un paio di giorni in cui tu nuovo affianchi un telefonista anziano: in questa fase ascolti e fai domande (che non sempre sono gradite a chi dovrebbe risponderti); poi, tocca a te provare a fare le prime telefonate e diventare autonomo. Ci sono tanti dettagli che impari “sul capo”: alcuni contratti, soprattutto all’inizio, ti scivolano dalle mani, perché non conosci le vie alternative per arrivare al punto.

Contratti? Il vostro compito non è quello di informare sulle offerte?

Solo ufficialmente. Il nostro incarico è prettamente di divulgazione commerciale, ma poi veniamo pagati a provvigione, seguendo una tabulazione periodica, a seconda dei contratti realmente conclusi. E, prima di concludere davvero un contratto, ci sono molte cose che possono andare storte. Noi contattiamo un numero (una volta, veniva fornita semplicemente la guida telefonica e tu attingevi da lì, ora hai a disposizione un database con molte più informazioni collegate al numero da chiamare) e propiniamo l’offerta a chi ci risponde; da lì, ci si aprono alcune strade. La prima è quella di fissare un appuntamento per inviare a casa del soggetto un consulente della compagnia; la seconda è chiudere il contratto direttamente in chiamata.

La famosa registrazione, giusto?

Sì e no: fatta quella, l’azienda effettua degli ulteriori controlli: un cliente bendisposto all’offerta potrebbe non rispettare i requisiti necessarie per essere, a sua volta, un buon candidato. Potrebbe essere moroso nei confronti della compagnia telefonica, oppure potrebbe non essere in possesso del codice di migrazione (essenziale per ufficializzare l’accordo), o ancora, essere già un utente di chi promuovo: molte offerte, ad oggi, sono dedicate alla conquista di nuove fette di mercato, o a campagne di rientro di numeri che hanno scelto di cambiare in favore di condizioni più confacenti. Se, invece, tutto rispetta i canoni, io operatore telefonico visualizzo un contratto chiuso a mio nome e, solo su quello, guadagno qualcosina.

Parliamo di numeri: possiamo? Quanto guadagni in un mese?

Esattamente, adesso non posso saperlo. Al mio fisso mensile, si aggiungono delle indennità variabili legate al progetto e delle indennità supplettive legate alla presenza e al volume di contratti che riesco a chiudere. In un mese, devo essere alla scrivania per almeno 136 ore; in questo lasso di tempo, devo categoricamente portare a casa almeno 6 contratti: in questo modo, e solo in questo, riceverò 50€. Ne svolgessi 150, di ore al telefono, e facessi firmare almeno 11 contratti, allora mi spetterebbero 80€. Sono scoraggianti, questi numeri, ma purtroppo, per molti di noi, rappresentano la possibilità migliore, lavorativamente parlando.

Chi sono i tuoi colleghi?

Siamo un gruppo eterogeneo, una decina di persone: ci sono ragazzi giovani, anche più giovani di me, come telefonisti più anziani. Alcuni sono alla loro prima esperienza, in un call center; altri hanno qualche anni di lavoro nell’ambiente, sulle spalle. Ci sono quelli più disponibili, fra colleghi come con i clienti, e quelli più distaccati. Purtroppo, è una guerra senza esclusione di colpi: si fa di tutto per chiudere positivamente una telefonata: capita che ci si trovi a soffiarci i contatti l’uno con l’altro solo per far crescere di poco la nostra possibilità di portare a casa due soldi; oppure  succede di trovarti a modellare la verità di una offerta, secondo quelli che capisce essere i punti deboli di chi ti ha risposto.

Avete un target specifico da chiamare, oppure no?

No, i numeri che ci vengono indicati sono puramente casuali, spesso si concentrano su scala regionale. Mi è capitato di contattare ospedali, scuole… i nostri obbiettivi rimango le utenze private: è a loro che sono dedicate le offerte di cui mi occupo ora. Le persone sono esasperate: siamo in troppi, a lavorare nei call center e, ormai, chiudere o meno un contratto, diventa solo quasi una questione di fortuna: devi contattare il cliente giusto, al momento giusto. Se lo trovi anche solo un’ora più tardi, può essere già stato raggiunto da un tuo collega. E capita: a me, personalmente, hanno fatto notare come fossi la quinta telefonata in una sola giornata e da parte della stessa azienda: questa è una delle poche cose che noi, a video, non possiamo sapere. Per il resto, ad ogni chiamata, dobbiamo compilare un format con diverse variabili fra cui, il motivo del disinteresse e l’iscrizione al Registro Pubblico delle opposizioni.

Ecco: chiudiamo con il FUB. Serve a qualcosa?

Il Registro Pubblico delle Opposizioni della Fondazione Ugo Bordoni è uno strumento utile perché nessuno perda tempo. Chi è iscritto, non dovrebbe ricevere chiamate indesiderate da parte dei call center e, in questo modo, nemmeno chi ci lavora sprecherebbe minuti preziosi ai danni di chi, magari, vuol davvero ascoltare qualche offerta promozionale. Il condizionale, rimane comunque d’obbligo, purtroppo: spesso ci viene indicato un contatto che, fra le specifiche, ha di fare parte del FUB; noi siamo comunque tenuti ad effettuare la chiamata.

Salutiamo la nostra amica e la ringraziamo per averci fatto un poco di luce su questo mondo: il call center rimane, in Italia, uno fra i lavori più richiesti e accessibile. Stipendi incerti e comunque, ridicoli, turni impegnativi e molto poco gratificanti, rapporti fra colleghi che, spesso, sfociano nella lotta alla sopravvivenza. Eppure, S. chiude con: “Penso che, se davvero si trattasse solo di informare le persone riguardo alla possibilità di risparmiare su prodotti e utenze, sarebbe tutto molto più facile. Se non avessimo la gogna del numero di contratti, lavoreremmo meglio noi e saremmo più onesti e convincenti anche coi nostri clienti”.               

 

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