Nella tristemente nota via Cristoforo Scobar, il 13 giugno del 1983, perse la vita il capitano Mario D’Aleo (29 anni), comandante della Compagnia Carabinieri di Monreale. Oggi ricorre il 37° anniversario della strage di matrice mafiosa consumatasi a Palermo.
Insieme a lui rimasero uccisi anche l’appuntato Giuseppe Bommarito (38 anni) e il carabiniere Pietro Morici (26 anni).
Tre giovani vite spezzate, tre uomini valorosi, tre esempi della più alta forma di senso del dovere.
Perché? Fatto ed antefatto
L’obbiettivo centrale della furia omicida di Cosa Nostra era Mario D’Aleo. Infatti, fu lui a sostituire il capitano Emanuele Basile, quando questi cadde vittima dell’attentato di tre anni prima, ucciso sotto lo sguardo inorridito della moglie e tra le urla della figlia piccola.
Un’efferatezza che solo una mano vigliacca come quella della mafia poteva commettere.
Il capitano Basile stava infatti conducendo un’indagine, scottante, riguardo i traffici illegali posti in essere dagli esponenti mafiosi di San Giuseppe Jato, Monreale ed Altofante.
Il fine ultimo era quello di minare gli interessi mafiosi della zona, limitarne l’influenza per sradicarli. Non fece in tempo.
Quale suo successore il capitano D’Aleo prese a cuore il progetto del collega e lo proseguì.
Questa presa di posizione fu un chiaro messaggio all’opinione pubblica e raggiunse in breve tempo le “orecchie” dei boss mafiosi.
D’Aleo non mostrava di avere timore, non si è fatto scoraggiare dalla tremenda sorte di Basile, consapevole del fatto che, sposando la sua causa, sarebbe probabilmente toccata anche a lui prima o poi.
Lo avevano messo in conto anche i colleghi, che si trovavano insieme a lui quel maledetto giorno, come sempre.
L’eccidio si consumò sotto l’abitazione del Capitano, in via Scobar, quando due uomini, due killer spietati, sopra una moto, lo freddarono con una raffica di colpi d’arma da fuoco, dinnanzi al portone di casa.
Poco più avanti, si trovavano Bommarito e Morici all’interno della loro automobile, dove vennero crivellati di colpi.
Così, la criminalità organizzata credeva di aver eliminato il problema e di aver vinto la partita contro lo Stato.
Nel 2001 la Corte d’Assise del Tribunale di Palermo condannò all’ergastolo, per questo e molti altri crimini, diversi malavitosi fra affiliati e capi mafia.
Tra loro Totò Riina, Bernardo Provenzano e Giuseppe Farinella.
Commemorazione: mantenere vivo il ricordo è fondamentale
In occasione del 31° anniversario della strage, nel 2014 si tenne una commemorazione in cui venne piantato un albero in memoria delle vittime, presso il Giardino della Memoria, in via Ciaculli a Palermo.
“Ringraziamo cronisti e magistrati per l’alto valore di legalità e di impegno quotidiano che svolgono con il Giardino della Memoria. Sono davvero commossa perché questo albero significa molto per noi familiari. Significa che a distanza di 31 anni i nostri congiunti non sono morti invano. Hanno lasciato una traccia indelebile in questa società che è stata tormentata dalla prepotenza mafiosa”. Queste le parole di Francesca Bommarito, sorella dell’appuntato ucciso.
L’evento commemorativo, organizzato dal Gruppo siciliano dell’Unione nazionale cronisti italiani e dall’Associazione nazionale magistrati di Palermo, ebbe uno scopo ben preciso.
Con esso si voleva testimoniare che la giustizia non avrebbe frenato la sua marcia. I valori che hanno determinato l’agire e l’operato di coloro che non ci sono più continuano a risiedere nella mente e nel cuore di altri uomini e donne.
Questo dato di fatto mantiene viva la speranza che prima o poi il male mafioso verrà annientato.