La scuola siciliana alla corte di Federico II

Poetica cortigiana tra prassi retorica e amore idealizzato

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scuola siciliana

Alla corte del sovrano

L’atto di nascita della letteratura italiana è sancito dall’attività culturale della scuola siciliana. Essa si costituiva come una scuola poetica riunita alla corte di Federico II, re di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero. La scuola fiorì nel Regno di Sicilia – comprendente anche l’Italia meridionale – non molto tempo dopo l’incoronazione di Federico nel 1220; la raffinatissima esperienza culturale della scuola siciliana ebbe, però, vita piuttosto effimera. La morte nel 1250 del sovrano mecenate, infatti, decretò l’inizio del rapido declino della casata Sveva in Italia. L’epilogo dell’esperienza della scuola siciliana, infine, venne inesorabilmente raggiunto con la morte nel 1266 di suo figlio, re Manfredi.

Durante il periodo di breve ma intensa attività culturale della scuola siciliana, la Magna Curia di Federico II promosse un clima intellettuale di prim’ordine. Infatti, essa accolse e raccolse i migliori ingegni del regno di Sicilia e di molte altre regioni della Penisola. Italiani, Normanni e Arabi, sotto la guida di un sovrano illuminato, poterono collaborare in un clima di serena convivenza e fertili scambi culturali reciproci. In tal modo si verificò lo sviluppo di una cultura scientifica e filosofica libera e laica, in netta contrapposizione con quella propugnata dalla Curia romana.

I poeti della scuola siciliana

Tra i vari intellettuali che animarono la scuola siciliana alla corte dello “Stupor mundi” – così era chiamato Federico II in virtù della profonda liberalità e intelligenza con cui seppe farsi promotore delle arti – i poeti ricoprirono un ruolo di preminente importanza, sia da un punto di vista culturale sia sotto il profilo politico-sociale; tra questi i più celebri furono Pier della Vigna, Jacopo da Lentini, Guido delle Colonne e Rinaldo d’Aquino. Il più delle volte notai di professione, i poeti della scuola siciliana univano ai propri studi universitari di diritto un alto grado di perfezionamento nell’ars dictandi, ossia nella retorica, abilità che sapevano magistralmente declinare in modo versatile sia nella poesia sia nel diritto.

La poesia siciliana attinse per i propri componimenti dalla lirica francese trobadorica in lingua d’oc, sviluppatasi dal XI secolo in Provenza. Da questa, però, si differenziò per alcuni tratti importanti. In primo luogo non tutti i generi poetici introdotti e frequentati dalla poesia occitana vennero assimilati dalla tradizione siciliana. Quest’ultima, infatti, fece propri solo i generi poetici che meglio si adattavano a veicolare la poetica dell’amor cortese. Motivi molto praticati erano, così, la gentilezza di spirito di chi ama e il rapporto di vassallaggio cavalleresco che unisce l’uomo alla propria signora.

Generi letterari che, pur praticati in area provenzale, prescindevano dalla tematica prettamente amorosa non riscossero fortuna alla corte di Federico II e dunque presso la scuola siciliana. Basti pensare al genere letterario del sirventese provenzale. Obliato dalla prassi poetica siciliana, promuoveva una satira di costume con riferimenti frequenti a eventi e personaggi contemporanei.

Un secondo elemento di divergenza tra la lirica provenzale e quella della scuola siciliana riguarda l’accompagnamento musicale alle poesie. I componimenti trobadorici molto spesso erano destinati al canto e quindi musicalmente corredati – soventemente dagli stessi poeti, che si intendevano anche di musica. Diversamente, la lirica della scuola siciliana visse una condizione di ‘divorzio‘ tra poesia e musica, manifestando un carattere eminentemente libresco e abbandonando la spettacolarità del momento performativo.

Tanti poeti, una poetica

Una concezione della poesia tanto ‘logocentrata’ si intravede in un terzo elemento di discrasia tra la poetica della scuola siciliana e quella trobadorica. Entrambe, infatti, potevano vantare una panoplia retorica raffinatamente equipaggiata. Metafore, ossimori, antitesi, paradossi e iperboli venivano usati per intrecciare i contraddittori domini semantici della guerra con quelli dell’amore, del fuoco e del gelo come trasposizione sensibile dell’esperienza amorosa. Ciononostante è vero che la poesia siciliana è assai più convenzionale e artificiale.

Il poeta cortigiano appartenente alla scuola siciliana, infatti, non era tanto interessato a ostentare la propria originalità creativa. Piuttosto, era attento a dimostrarsi e riconoscersi degno di far parte della raffinata civiltà cortigiana. Proprio per far ciò, egli era solito ricorrere a tutti quei moduli e a quelle scelte stilistiche e contenutistiche codificate e formalizzate dalla cultura cortigiana. Il poeta della scuola siciliana, dunque, reiterava tali forme fisse secondo una prassi di emulazione tecnico-retorica che estrometteva dall’orizzonte poetico la realtà autobiografica del singolo poeta. Così facendo, egli promuoveva invece un’autobiografia trascendentale, ricalcata su quel modello umano astratto e generalizzato di uomo di corte a cui voleva aderire.