Quali siano gli esiti di questa crisi di governo, l’aspetto più inquietante è che al centro del dibattito la politica sembra essere scomparsa; nelle parole dei leaders, ma anche dell’opinione pubblica.
Eppure l’Italia è stata sostanzialmente sempre governata da coalizioni (con l’eccezione di qualche monocolore DC, comunque sostenuto dall’appoggio esterno di un partito minore); coalizioni che, lontane dalle luci della ribalta, hanno negoziato un programma di governo. Cosa è cambiato, dunque?
Le differenze rispetto al passato sono evidenziate dal fatto che i partiti oggi presenti in parlamento non rappresentano la sintesi di un percorso storico e culturale; piuttosto hanno assunto la forma liquida di rappresentanze di interessi particolari che cercano di costruire la propria identità cercando di intercettare il consenso attraverso provvedimenti mirati. Pura amministrazione, insomma, subordinata al primato dell’economia e alla ricerca del consenso.
Ma la politica è altro dall’amministrazione: esprime i valori morali che definiscono una ipotesi mondo nel quale vivere, rapportandosi rispetto ad essa come il fine con i mezzi per perseguirlo. Senza un ideale di organizzazione della vita comune, il singolo provvedimento – per quanto opportuno possa essere – non può rappresentare il criterio rispetto a cui un cittadino deve scegliere per chi votare.
La rappresentanza politica attraverso la quale si esercita la democrazia richiede un altro ruolo sia agli elettori, che ai loro rappresentanti. Il cittadino, con il suo voto, deve esprimere la propria preferenza per un modello di società, conforme ai valori in cui si riconosce; i partiti devono farsi portatori di queste visioni del mondo, ed è compito loro definire le modalità con le quali realizzarle. Altrimenti non di “polis” stiamo parlando, ma di corporazioni.
È un sintomo evidente di questa decadenza della politica il fatto che i partiti impostino le loro campagne sulla proimessa di una “flat tax” o del “reddito di cittadinanza”; un approccio assolutamente emergenziale, determinato dall’aspetto economico e nient’altro. Una strategia focalizzata sull’oggi e non sul domani. Ma soprattutto un’esca per attrarre consensi da parte di coloro che di tali provvedimenti possono essere beneficiari.
D’altronde, tutto questo è perfettamente inserito nello spirito del nostro tempo sempre più arido dal punto di vista culturale, saturo di connessioni, di informazioni vere e false indistinguibili, dove tutti si esprimono formando le proprie opinioni sulla base di ciò che rafforza i propri preconcetti. Dove la complessità del mondo sempre più contaminato da culture diverse è ridotta al pensiero unico degli slogan, i dibattiti polarizzati in alternative pro e contro.
Per questo non posso che guardare con occhio critico qualunque forma di coalizione elettorale che – similmente all’esperienza del governo 5stelle-Lega – sia regolata non da una visione comune (anche se frutto di un compromesso tra le diverse istanze) ma dall’attuazione di specifici provvedimenti. Piuttosto vorrei sapere, per poter esprimere con pienezza il mio voto, come si posizionano i partiti rispetto ai grandi temi sociali ai quali appartengono le nostre vite: lavoro, welfare, sanità, flussi migratori, ambiente, energia, inclusione sociale, rapporti internazionali. Voglio sapere in quale direzione si concretizzerà il mandato che nasce dal mio voto: non le soluzioni nel dettaglio, ma – appunto – gli obiettivi. La società che vorrebbero realizzare.
Voglio sapere se, una volta al governo, autorizzeranno la messa in funzione di inceneritori o sosterranno la diffusione della raccolta differenziata e l’utilizzo di energie alternative; voglio sapere se intendono promuovere l’accoglienza e l’integrazione dei migranti oppure contenerne i flussi; voglio sapere se si porranno come arbitri tra imprese e lavoratori senza sacrificare quest’ultimi sull’altare della produttività; voglio sapere se reputano la salute un diritto inalienabile oppure un benefit legato al censo; voglio sapere se, per bypassare l’articolo 11 della Costituzione, autorizzeranno interventi armati chiamandoli “missioni di pace”.
Voglio sapere se reputano i diritti essere di tutti o fanno distinzioni sulla base dell’etnia, del reddito o di qualunque altra cosa. Voglio sapere se i loro provvedimenti sono dettati da valori o dal possibile consenso che potrebbero raccogliere. Perché è qui che ci giochiamo la partita: sul piano dei valori, che sono espressione della cultura, e rappresentano necessariamente la bussola dell’azione politica.
La politica che si fa amministrazione è quanto di più lontano ci possa essere da “una” cultura che governa il presente e guarda al futuro. La cultura è la nostra cassetta degli attrezzi, la prospettiva con la quale guardiamo la vita cercando di ricavarne un senso. È la soluzione per le difficoltà della vita in comune: senza di essa non ci sono opportunità, ma solo problemi