giovedì, Aprile 25, 2024

La Francia processa i funzionari del regime siriano per crimini contro l’umanità

I procuratori francesi ritengono che tre alti funzionari del regime siriano, che non dovrebbero presentarsi al processo né farsi rappresentare da avvocati, siano responsabili della morte di due cittadini franco-siriani, arrestati nel 2013. I giudici francesi hanno ordinato ad alti funzionari del regime di Bashar Al-Assad in Siria di essere processati per collusione in crimini contro l’umanità, una prima volta in Francia, secondo i documenti del tribunale visti da AFP martedì. L’ordinanza, firmata mercoledì scorso, dice che i funzionari, tutti alti consiglieri di Assad, sono accusati di complicità in crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

Chi viene accusato di crimini contro l’umanità

Si tratta di Ali Mamlouk, capo dell’Ufficio di sicurezza nazionale del partito Ba’ath, Jamil Hassan, ex capo della Direzione dei servizi segreti dell’aeronautica militare siriana e Abdel Salam Mahmoud, altro ufficiale dei servizi segreti dell’aeronautica. I procuratori francesi ritengono che il trio, che non dovrebbe presentarsi al processo né farsi rappresentare da avvocati, sia responsabile della morte di due cittadini franco-siriani, Mazzen Dabbagh e suo figlio Patrick, arrestati nel 2013. La Francia ha emesso un mandato di arresto internazionale per i tre. Un’indagine preliminare su possibili sparizioni forzate e atti di tortura che costituiscono crimini contro l’umanità è stata avviata nel 2015 dopo la presentazione di una denuncia da parte della famiglia dei due, che si è ampliata in una vera e propria indagine nel 2016 e ha portato mandati di arresto internazionali due anni dopo. Mazzen Dabbagh, consulente pedagogico presso la scuola francese di Damasco, e Patrick Dabbagh, che studiava nella facoltà di letteratura e scienze umane dell’università di Damasco, sono stati arrestati nel novembre 2013 da agenti che si sono identificati come membri dei servizi segreti dell’aeronautica militare.

Una decisione storica

Secondo il cognato di Mazzen Dabbagh, Obeida Dabbagh, anch’egli arrestato ma rilasciato due giorni dopo, i due sono stati portati nella prigione di Mezzeh, ritenuta il principale centro di tortura del regime. Non se ne è saputo più nulla e nel 2018 il regime li ha dichiarati morti, facendo risalire la morte di Patrick al 2014 e quella del padre al 2017. Secondo le dichiarazioni dei testimoni raccolte dagli investigatori francesi e dalla Commissione per la giustizia internazionale e la responsabilità, una ONG, sono stati picchiati con sbarre di ferro sulle piante dei piedi, sottoposti a scosse elettriche e gli sono state strappate le unghie. I giudici istruttori francesi hanno affermato che “sembra sufficientemente accertato” che siano stati sottoposti a torture “così intense da ucciderli”. La loro casa è stata confiscata e successivamente affittata ad Hassan per circa 30 euro (32 dollari) all’anno, un fatto che lo rende complice di crimini di guerra, secondo i giudici. Obeida Dabbagh ha accolto con favore l’ordine del processo, dicendo all’AFP che esso segnala al regime siriano che “un giorno l’impunità finirà”. La Federazione internazionale per i diritti umani (FIDH), una ONG, ha definito l’incriminazione “una decisione storica”. Clémence Bectarte, avvocato della FIDH, del Centro siriano per i media e la libertà di espressione e della famiglia Dabbagh, ha dichiarato: “Questo risultato non sarebbe stato possibile senza il coraggio e la determinazione dei siriani che hanno accettato di testimoniare davanti ai tribunali francesi per raccontare la terribile realtà dei crimini commessi nelle carceri di Bashar Al-Assad”. Sebbene sia la prima volta che la magistratura francese persegua funzionari siriani per gravi crimini, la vicina Germania ha già portato in tribunale casi simili. Nel gennaio dello scorso anno un tribunale tedesco ha condannato un ex colonnello siriano all’ergastolo per crimini contro l’umanità, nel primo processo globale sulle torture sponsorizzate dallo Stato in Siria. Anwar Raslan, 58 anni, è stato giudicato colpevole di aver supervisionato l’omicidio di 27 persone e la tortura di altre 4.000 nel centro di detenzione di Al-Khatib a Damasco nel 2011 e 2012.

Sowmya Sofia Riccaboni
Sowmya Sofia Riccaboni
Blogger, giornalista scalza (senza tesserino), mamma di 3 figli. Guarda il mondo con i cinque sensi, trascura spesso la forma per dare sensazioni di realtà e di poter toccare le parole. Direttrice Editoriale dal 2009. Laureata in Scienze della Formazione.

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