In questi giorni la notizia che emerge sulle altre nella cronaca giornaliera del virus è quella dell’elevato numero di morti in Italia rispetto alla popolazione, che ci proietta ai primi posti non solo i Europa, ma anche nel mondo.
Il monitoraggio dei casi
Partiamo col dire che nel comparare i dati a livello globale, dobbiamo innanzi tutto accertarsi se essi vengano o meno rilevati attraverso la medesima metodologia, e naturalmente la loro attendibilità.
La prima possibile spiegazione del fenomeno è data dal numero di test effettuati e dalla difficoltà che abbiamo nel tracciare i casi di coronavirus, il che comporta una incidenza sempre maggiore dei casi più gravi, che fanno innalzare la percentuale dei contagi sul numero di tamponi effettuati, di fatto escludendo dalla statistica i positivi asintomatici o paucisintomatici.
Altre cause possono essere riscontrate nelle caratteristiche socio demografiche del nostro Paese, quelli che vengono definiti “determinanti di salute”, ovvero tutti quei fattori che incidono nel benessere, fisico e psichico, delle persone.
Età media della popolazione
É noto che l’Italia è il secondo paese più “vecchio” al mondo, dove gli abitanti con più di 80 anni sono ben il 7,5%, e 22,6% delle popolazione ha più di 65 anni del totale. In Europa, Francia e Regno Unito ci sono immediatamente dietro in questa classifica, e probabilmente non è un caso se sono i paesi europei che hanno avuto più vittime insieme a noi.
Sappiamo anche che il coronavirus tende a colpire in maniera più grave le persone anziane e con problemi di salute pregressi. A questo proposito è interessante prestare attenzione ad alcune evidenze che emergono dall’analisi della prima ondata di pandemia.
Il problema delle RSA
Il rapporto sui morti in RSA redatto da Regione Lombardia prende in analisi l’incidenza del virus all’interno delle Residenze Sanitarie Assistite, che ospitano persone di età avanzata bisognose di assistenza socio-sanitaria; persone fragili per eccellenza.
Nel periodo marzo-aprile 2020, il tasso di mortalità per gli over 70 anni è passato dal 47 per mille (rispetto alla media 2016-2019) al 73 per mille; ma nella popolazione delle RSA è più che raddoppiato passando dal 120 per mille al 270 per mille.
In altre parole significa due cose: innanzi tutto è confermato il dato per cui la popolazione anziana ospitata nelle RSA ha una probabilità di morire molto più alta rispetto ai coetanei che snelle loro case anche negli anni pre-Covid (47 rispetto a 120!); e ciò è spiegabile col fatto che chi conserva la propria autonomia mediamente è in condizione di salute migliori.
La seconda considerazione che possiamo fare, è che in piena pandemia, la mortalità degli ospiti delle RSA è comunque aumentata di più che nei coetanei fuori dalle case di riposo (2,2 volte rispetto a 1,5 volte). L’indicazione è chiara, meno le cause: nelle strutture gli effetti del virus sono più gravi, questo è certo.
Data l’età media delle vittime, possiamo ipotizzare che una parte significativa di esse provenga proprio dagli ospiti delle RSA.
Fragilità della popolazione
Eurostat ha da tempo denunciato che, nonostante la durata media della vita in Italia sia tra le più alte al mondo, quella della vita in salute è in netta riduzione, soprattutto per le donne e i bambini, colpiti da tumori con un trend decennale nettamente più elevato rispetto agli altri Paesi europei; in altre parole, si vive più a lungo, ma ci si ammala prima.
Un buon sistema sanitario non è sufficiente: per comprendere questo fenomeno potremmo, come detto, riflettere su alcuni indicatori denominati “determinanti di salute”: fattori socio-economici e stili di vita (responsabili per il 40-50%), ambiente (20-30%), genetica (20-30%), servizi sanitari (10-15%).
Proprio sui fattori socio economici si concentra l’attenzione per quanto riguarda l’anomalia italiana, confrontando i dati con quelli di altri Paesi. In Svezia, ad esempio, dal 2004 al 2012 – nonostante l’aspettativa di vita generale resti inferiore – quella di vita sana ha avuto un balzo in avanti di nove anni per gli uomini e di dieci per le donne. Le differenze con l’Italia sono evidenti: minor precariato, evasione fiscale pressoché assente, maggiore welfare e maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.
Inquinamento
Già nel 2015 un rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente rivelava che tra i 28 Paesi dell’Unione europea, l’Italia è quello con il più alto numero di morti premature rispetto alla normale aspettativa di vita a causa dell’inquinamento dell’aria: 84.400 decessi su un totale di 491.000 registrati in Europa.
L’inquinamento atmosferico è il principale fattore di rischio ambientale per la salute in Europa, responsabile della riduzione della durata di vita delle persone, anche attraverso la diffusione di gravi patologie come malattie cardiache, problemi respiratori e cancro.
Le micro polveri sottili (Pm 2.5) sono il principale agente (403.000 vittime nell’UE a 28 Paesi), il biossido di azoto (NO2) ne provoca circa 72.000 e l’ozono (O3) 16.000. In Italia, rispettivamente 59.500, 21.600 e 3.300; l’area più colpita è quella della Pianura Padana, in particolare Brescia, Monza e Milano e Torino, ma anche le altre grandi città superano la soglia raccomandata di concentrazione media annua di 25 microgrammi per metro cubo d’aria.
Secondo alcune ricerche della Società italiana di medicina ambientale, il particolato atmosferico può contribuire a rendere più facili le infezioni trasportando il coronavirus: potrebbe essere uno dei motivi della sua incidenza in aree a intensa concentrazione industriale, come Lombardia, Piemonte e Pianura Padana.
La costruzione della salute
Come spesso accade, fenomeni complessi hanno spiegazioni altrettanto articolate. La salute si costruisce attraverso la combinazione di diversi fattori, innanzi tutto individuali (stili di vita, alimentazione, esercizio fisico, prevenzione) – quindi sociali (sistema sanitario, ma anche promozione di una società inclusiva, sostenibile, rispettosa dell’ambiente).
Perché quando si verificano momenti critici come questo, non siano le nostre caratteristiche i principali responsabili dei danni provocati: proprio come è accaduto nel recente passato – sul piano ambientale – per terremoti e inondazioni la cui gravità è stata amplificata dalla insufficiente sicurezza degli edifici e dall’incuria del territorio.