“La Cina in 10 parole” di Yu Hua è uno dei libri migliori per iniziare ad approcciarsi alla Cina. Con una scrittura sublime e un tocco delicato, l’autore riesce ad esplorare una parte essenziale della cultura cinese: la sofferenza.
Tutto parte dalla sofferenza
“Credo al mondo nulla quanto l’esperienza del dolore possa mettere gli esseri umani in comunicazione” conclude Yu Hua. L’autore prosegue dicendo: “E così, in questo libro, raccontando le sofferenze della Cina ho raccontato anche la mia sofferenza. Sono la stessa cosa“. Non vi mentirò, questo libro fa male. Quarant’anni di dolore della popolazione cinese vengono così riassunti da Hua. Vi chiederete perché sono partita dalla fine per raccontarvi di questo libro. Ogni parola scelta dall’autore per parlare del suo paese, ha un filo conduttore invisibile ma percepibile: la sofferenza. La sofferenza ci lega alle persone, la sofferenza ci mette in contatto con noi stessi, la sofferenza unisce un intero popolo. Non è un libro strappalacrime, non cerca di colpirci o di commuoverci. Una delle caratteristiche che rendono questo romanzo tanto speciale, è proprio la sua leggerezza. La delicatezza di tutte le parole che sceglie e perfino delle virgole che decide di sdraiare alla fine di una frase, ti fanno inghiottire pian piano torture e pianti. Ti accorgerai solo alla fine di quello che hai letto.
La Cina in 10 parole: “Lettura”
Ti accorgerai solo alla fine che l’immagine di un bambino che cerca disperatamente qualcosa da leggere è un’immagine tragica. Questo perché Hua te lo racconta con gli occhi che aveva alle elementari. Un bambino che corre per le strade chiedendo a chiunque che libro abbiano in casa. La risposta è sempre la stessa: “Opere scelte di Mao Zedong“. Tutti avevano gli stessi due libri, tutti i libri erano scritti dalla stessa persona: Mao Zedong. Ad un certo punto, il giovane Hua si rende conto dell’esistenza di una letteratura alternativa, proibita. Quei libri erano stati salvati da dei giovani e coraggiosi appassionati. “Un volume passava da migliaia di mani e, quando arrivava alle tue, poteva essere talmente mal ridotto da mancargli le dici pagine iniziali“. O quelle finali. Migliaia di persone avevano tenuto stretto quelle pagine proibite, le avevano consumate a furia di cercare la libertà. Una libertà immaginaria, che in parte cercava di sostituire quella reale.
Una Cina taroccata
Quando pensiamo alla Cina, non possiamo fare a meno di pensare a quei prodotti tecnologici esattamente uguali a quelli americani, ma che costano meno. Una copia, un oggetto taroccato, o meglio, uno shanzhai. Hua racconta di una Cina in cui tutto può essere taroccato, perfino il leader Mao Zedong. Tuttavia, le loro copie sono ben diverse da quelle che ci aspettiamo. Non sono solo degli oggetti identici che costano meno, sono un’arma politica. Ed è così che i cinesi hanno cominciato ad accalcarsi per stringere la mano ad un Mao Zedong taroccato. Lo shanzhai si diffonde a tal punto da portare le persone a subire degli interventi per diventare delle vere e proprie copie dei personaggi che vogliono imitare. Questi racconti ci spingono ad andare oltre all’immagine di una Cina che copia quello che facciamo a basso costo. Queste storie ci costringono a guardare quelle copie come una forma di ribellione. Dietro ai telegiornali taroccati non c’erano solo risate, c’era ironia, satira, ma soprattutto rabbia.
La Cina e il cotone: lo sfruttamento delle minoranze
La Cina in 10 parole ci costringe a pensare
Questa opera profuma di Cina. Mentre i miei occhi scorrevano le righe del romanzo, io non ero più nella mia stanza. Sentivo il profumo dell’Asia, sentito il dolore di non essere libera e l’acre sapore di un popolo che non si definisce tale. Vedevo davanti a me le diseguaglianze che hanno portato due genitori ad uccidersi perché non potevano pagare un frutto al loro figlio. vedevo una bambina soffocata nella sua sciarpa perché nessuno poteva portarla in ospedale. Infine, ho visto la grande porta di piazza Tienanmen e i suoi studenti. Quello che accadde quel fatidico 4 giugno 1989 non l’ho visto, ma grazie a Hua so che dopo il massacro il popolo cinese ha smesso di definirsi tale.