La Cina alla conquista del mondo

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Lettera del ministro dell’economia a Juncker

BRUXELLES – Cresce la pressione sulla Commissione europea per mettere in campo strumenti più efficaci destinati a controllare gli investimenti provenienti dall’estero, in particolare dalla Cina. Ieri Bruxelles ha confermato di aver ricevuto l’ennesima lettera, questa volta inviata a Jean-Claude Juncker dal ministro dell’economia tedesco Brigitte Zypries, con la quale si sollecita l’adozione di regole che consentano di bloccare takeover su aziende europee strategiche. Nella missiva Zypries sottolinea tra l’altro che “l’apertura dei mercati non può essere a senso unico”.

Secondo le ultime stime, nel 2016 gli investimenti cinesi in Europa sono stati pari a 35 miliardi di euro, il 77% in più rispetto all’anno precedente, e il 31% è stato indirizzato verso la Germania. Nella richiesta di regole che consentano di intervenire su investimenti considerati ostili o problematici su asset strategici Ue, Berlino è affiancata da Roma e Parigi. I governi dei tre Paesi hanno più volte chiesto alla Commissione di varare norme più efficaci e ci si attende che Juncker dia una prima risposta concreta in occasione del discorso sullo stato dell’Unione che terrà il 13 settembre a Strasburgo in occasione della prima riunione plenaria dell’Europarlamento dopo la pausa estiva.

La presenza cinese in Italia

L’elenco delle partecipazioni cinesi in Italia, infatti, è lunghissimo ed estremamente diversificato. Prima di occuparsi dei grandi gruppi nazionali Pechino ha acquistato quote o rilevato aziende in ogni possibile settore. Solo per citare qualche esempio, nel 2012 sono state aggiunte al carrello orientale il Gruppo Ferretti, che produce yacht di lusso, la De Tomaso Automobili Spa, l’azienda alimentare Fiorucci (già passata in mani prima spagnole, poi americane) e la moda di Miss Sixty. Un paio di anni prima la Cina aveva messo le mani sulla moda da uomo firmata Cerruti, sui prodotti in pelle di Desmo, sulle motociclette Benelli e su decine di altre piccole e medie imprese. Ultimamente, invece, oltre ad appartamenti, terreni e vigneti, la Cina ha messo gli occhi anche su aziende molto più grandi, ed è entrata in possesso entrata del 2 per cento del capitale di Telecom, Fiat-Chrysler, Eni, Enel, e di una piccola fetta di Prysmian, la ex Pirelli Cavi. Sono poi diventati cinesi anche il 35 per cento di Cdp Reti, che controlla Snam e Terna, e il 40 per cento di Ansaldo Energia.