venerdì, Marzo 29, 2024

La borsa o la vita. Come gli italiani reagiscono al coronavirus

C’è qualcosa di più interessante di come le persone (e le Istituzioni) hanno reagito alla notizia dei primi contagi dovuti al coronavirus: è il modo con il quale stanno affrontando il perdurare nel tempo della situazione.

Dall’incetta di prodotti alimentari (persino materie prime, come la farina per il pane) e di disinfettante, dal chiudersi in casa ed azzerare la vita sociale siamo passati prevedibilmente all’insofferenza per un modo di vivere – e di concepire la quotidianità della sicurezza – difficile da sostenere.

Fortunatamente (ma anche prevedibilmente) il contagio non produce nella maggior parte dei casi altro che sintomi lievi; e il fatto che – come accade sempre in questi casi anche le per le forme influenzali consuete – le persone a rischio siano quelle più fragili, restituisce ai più un senso di ipocrita sicurezza perfettamente antagonista alle misure cautelari.

L’adrenalina della “grande emergenza” si è trasformata nell’arco di una sola settimana in aperta insofferenza. Eppure il quadro non è cambiato; sbaglia chi sottovaluta i problemi legati al coronavirus: contenere il contagio significa permettere al Servizio Sanitario di rispondere in modo adeguato ai casi che richiedono cure ospedaliere. Se aumentasse in modo significativo la richiesta di ricoveri in rianimazione, molti rischierebbero di non poter essere curati, e diverrebbero a rischio di vita.

Immagine da Pixabay

Ma la tensione tra la popolazione è scesa: la diretta giornaliera di contagiati e vittime non ha più la presa dei primi giorni in cui tutti si sentivano minacciati, anche se si tratta più che altro di una percezione. E – a cambiare atteggiamento – sono stati anche alcuni rappresentanti delle Istituzioni: gli stessi, peraltro, che avevano soffiato nei primi giorni sul fuoco della paura e ribadito la natura straniera della minaccia del virus. Gli stessi che ieri parlavano di pandemia, oggi cercano di smorzare i toni paragonandolo ad una “banale influenza”. Prima sbagliavano per eccesso, oggi per difetto.

Quello che è cambiato ribadisce ancora una volta come la nostra società (mi riferisco all’Occidente tutto) sia improntata sulle esigenze dell’economia che ne modella la struttura. E questo significa che, mentre i valori vengono continuamente messi in discussione, la macchina produttiva non può essere assolutamente né fermata, tanto meno criticata. Così la vita – la cui difesa era stata invocata nei primi momenti di drammatiche conferenze stampa (sorvolo sui “cinesi che mangiano i topi” come ha detto qualcuno) – cede il passo alla borsa. Il quesito dei rapinatori gentiluomini di una volta, quelli che, arma alla mano, non rinunciavano ad uno scambio dialettico con le loro vittime.

“O la borsa o la vita” dunque: ed è la sempre la medesima storia dell’Ilva di Taranto, di Porto Marghera, dell’Eternit di Casale Monferrato, dell’ICMESA di Seveso, delle polveri sottili che uccidono in Italia 50.000 persone l’anno. E anche l’infiltrazione della criminalità organizzata nei territori gravati dalla disoccupazione. Il primato delle ragioni dell’economia su quelle della salute, accettato anche da chi ne è vittima. Morire di fame o a causa di un lavoro pericoloso per la salute, o addirittura per la stessa società.

Tra la borsa e la vita, insomma, alla fine è la prima che prevale: semplicemente perché il nostro modello di sviluppo di basa sul consumo e non sul benessere. È una specie di corsa folle senza meta dove la vita emerge a tratti quando siamo costretti a rallentare. Detta così sembra retorica, ma purtroppo non lo è.

Massimiliano De Luca
Massimiliano De Lucahttp://www.massimilianodeluca.it
Sono nato a Firenze nel 1968. Dai 19 ai 35 anni ho speso le mie giornate in officine, caserme, uffici, alberghi, comunità – lavorando dove e come potevo e continuando a studiare senza un piano, accumulando titoli di studio senza mai sperare che un giorno servissero a qualcosa: la maturità scientifica, poi una laurea in “Scienze Politiche”, un diploma di specializzazione come “Operatore per le marginalità sociali”, un master in “Counseling e Formazione”, uno in “Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche”, un dottorato di ricerca in “Analisi dei conflitti nelle relazioni interpersonali e interculturali”. Dai 35 ai 53 mi sono convertito in educatore, progettista, docente universitario, ricercatore, sociologo, ma non ho dimenticato tutto quello che è successo prima. È questa la peculiarità della mia formazione: aver vissuto contemporaneamente l’esperienza del lavoro necessario e quella dello studio – due percorsi completamente diversi sul piano materiale ed emotivo, di cui cerco continuamente un punto di sintesi che faccia di me Ein Anstàndiger Menschun, un uomo decente. Ho cominciato a leggere a due anni e mezzo, ma ho smesso dai sedici ai venticinque; ho gettato via un’enormità di tempo mentre scrivevo e pubblicavo comunque qualcosa sin dagli anni ‘80: alcuni racconti e poesie (primo classificato premio letterario nazionale Apollo d’oro, Destinazione in corso, Città di Eleusi), poi ho esordito nel romanzo con "Le stelle sul soffitto" (La Strada, 1997), a cui è seguito il primo noir "Sotto gli occhi" (La Strada, 1998 - segnalazione d’onore Premio Mario Conti Città di Firenze); ho vinto i premi Città di Firenze e Amori in corso/Città di Terni per la sceneggiatura del cortometraggio "Un’altra vacanza" (EmmeFilm, 2002), e pubblicato il racconto "Solitario" nell’antologia dei finalisti del premio Orme Gialle (2002). Poi mi sono preso una decina di anni per riorganizzare la mia vita. Ricompaio come finalista nel 2014 al festival letterario Grado Giallo, e sono presente nell’antologia 2016 del premio Radio1 Plot Machine con il racconto "Storia di pugni e di gelosia" (RAI-ERI). Per i tipi di Delos Digital ho scritto gli apocrifi "Sherlock Holmes e l’avventura dell’uomo che non era lui" (2016), "Sherlock Holmes e il mistero del codice del Bardo" (2017), "Sherlock Holmes e l’avventura del pranzo di nozze" (2019) e il saggio "Vita di Sherlock Holmes" (2021), raccolti nel volume “Nuove mappe dell'apocrifo” (2021) a cura di Luigi Pachì. Il breve saggio "Resistere è fare la nostra parte" è stato pubblicato nel numero 59 della rivista monografica Prospektiva dal titolo “Oltre l’antifascismo” (2019). Con "Linea Gotica" (Damster, 2019) ho vinto il primo premio per il romanzo inedito alla VIII edizione del Premio Garfagnana in giallo/Barga noir. Il mio saggio “Una repubblica all’italiana” ha vinto il secondo premio alla XX edizione del Premio InediTO - Colline di Torino (2021). Negli ultimi anni lavoro come sociologo nell’ambito della comunicazione e del welfare, e svolgo attività di docenza e formazione in ambito universitario. Tra le miei ultime monografie: "Modelli sociali e aspettative" (Aracne, 2012), "Undermedia" (Aracne, 2013), "Deprivazione Relativa e mass media" (Cahiers di Scienze Sociali, 2016), "Scenari della postmodernità: valori emergenti, nuove forme di interazione e nuovi media" (et. al., MIR, 2017), Identità, ruoli, società (YCP, 2017), "UniDiversità: i percorsi universitari degli studenti con svantaggio" (et. al., Federsanità, 2018), “Violenza domestica e lockdown” (et. al., Federsanità, 2020), “Di fronte alla pandemia” (et. al., Federsanità, 2021), “Un’emergenza non solo sanitaria” (et. al., Federsanità, 2021) . Dal 2015 curo il mio blog di analisi politica e sociale Osservatorio7 (www.osservatorio7.com), dal 2020 pubblicato su periodicodaily.com. Tutto questo, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto a modo mio, ma più con impeto che intelligenza: è qui che devo migliorare.

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