Il navigare allo scoperto, in superficie sta diventando un abitudine: ci indigniamo, soffriamo e gioiamo in base ad un qualcosa che comprendiamo, o almeno cosi crediamo, in maniera frettolosa e spesso ciò accade sui social network, cedendo cosi alla “banalizzazione del tutto”
Malattia e la sofferenza, dall’altro la genitorialità e i minori., natura e biologia ridotta ad un tweet o ad un post.
Gli ultimi casi di bullismo, la vicenda di dj Fabo, sono tutti eventi che devono far riflettere sul valore della vita…offline. Gli attori in gioco sono tanti così come le emozioni che proviamo vedendo Fabiano su un letto immobile e cieco che rifiuta quella che considera “una non vita. Oppure ci identifichiamo nelle tante storie di persone che in nome di sentimenti alti rivendicano presunti diritti.
Tutto si semplifica nel racconto mediatico o viene gridato creando cortocircuiti sociali e culturali che fanno della parzialità e del pathos le proprie dimensioni fondative. E tutto per un click, per un like, vera unità di misura dei nostri valori e del nostro essere individui.
Non possiamo affidare le nostre emozioni, idee, certezze alla macchina, per i media non conoscono negoziazione, confronto, i media funzionano così: Posizione e contrapposizione.
Ma chi accede, scrive , modifica, condivide? Chi “sta nei media”? Noi.
La nostra responsabilità e saggezza digitale possono diventare la cassa di risonanza per il racconto della nostra e delle vite altrui .
Possiamo scegliere di essere vittime della nostra emotività o della nostra indignazione e proiettarle negli spazi mediali, oppure essere trasparenti e reali online e offline contribuendo insieme a fare dei media strumenti di racconto del reale approfondito e non banale.