Karimah Ashadu in Plateau parla di indipendenza nigeriana

Alla Biennale le videoinstallazione di artisti che trattano di colonialismo, ecologia e sviluppo sostenibile

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Karimah Ashadu
Karimah Ashadu, 2022, Portrait

Aperta la mostra Penumbra prodotta da Fondazione In between art film per la Biennale di Venezia. Sono esposte le installazioni video di Karimah Ashadu e altri artisti che operano nel campo delle immagini in movimento. L’evento intende espandere il discorso culturale intorno ai time-based media.


A Venezia Penumbra presenta videoinstallazioni

Il racconto di un demone e dei suoi demoni

Qual è l’opera di Karimah Ashadu per Penumbra?

Plateau, 2021, è un video a due canali, colore, suono, 27’. Il supporto aggiuntivo è di African Culture Fund, Mali; ha collaborato Columbia Institute for Ideas and Imagination. La pratica di Ashadu riguarda il senso dell’Io e del luogo, nonché le questioni legate alle condizioni di lavoro, alla cultura patriarcale e all’idea di indipendenza in Nigeria e dell’Africa occidentale.
Ambientato nell’altopiano del Jos, il suo film ritrae un gruppo di minatori di stagno indipendenti e privi di permessi che sono intenti a procurarsi da vivere in una terra impoverita e instabile. Vivono in condizioni precarie e spesso pericolose. Il video è un’esplorazione lirica e investigativa del rapporto tra paesaggio e corporeità. Un rapporto che è simboleggiato, nel suo essere resistente a circostanze avverse, dalla presenza maestosa del cactus. I corpi maschili sono rappresentati mentre passano
strenuamente al setaccio il fango e muovono i secchi d’acqua in gesti ripetitivi simili a pennellate. Anziché idealizzarli, l’autore si avvicina ai lavoratori esausti e ai gesti decisi con cui si occupano coraggiosamente della terra.

Nigeria dopo il colonialismo per Karimah Ashadu

Ricorrendo a tecniche manuali ereditate, tornano a estrarre i detriti di ciò che il regime coloniale britannico ha lasciato dopo aver sfruttato la Nigeria in maniera intensiva e violenta. Le testimonianze di lavoratori, abitanti e proprietari terrieri, documentano il collasso economico della regione in seguito allo smantellamento delle industrie britanniche. Mostrano anche le possibilità per la loro comunità di perseguire l’indipendenza. Nel 2021, Plateau è presentato in anteprima alla Secession di Vienna in occasione della mostra personale dell’artista.

Jonathas de Andrade

L’artista ha realizzato Olho da Rua, 2022, un video monocanale, colore, suono stereo, 26’. De Andrade utilizza installazioni, fotografie e video per esplorare gli effetti delle dinamiche di potere e i conflitti del Brasile, in particolare della regione Nord-Orientale e di Recife. L’indagine riguarda l’impatto sulle comunità locali del colonialismo, della storia della schiavitù, della
cultura modernista e delle condizioni attuali di lavoro a basso costo. Ambientato in una piazza pubblica, il suo nuovo film mette in scena una serie di atti performativi incentrati su dinamiche collettive e esercizi di sguardo. Partecipa un gruppo di senzatetto del centro città. L’opera si ispira alle tecniche del Teatro dell’oppresso di Augusto Boal e ingaggia la comunità temporanea di attori non professionisti in situazioni che, tra finzione e realtà, affrontano temi identitari. Parla quindi di identità, cura, famiglia, coscienza di classe, visibilità sociale e politica. Fuori copione, il lavoro accoglie le personalità e i mondi interiori del cast e rappresenta una potente testimonianza del paese sudamericano contemporaneo. Uno Stato e il suo
ricco multiculturalismo e le sue disuguaglianze strutturali.

La colonna sonora

Ad accompagnarlo, una colonna sonora ipnotica composta dal percussionista Homero Basílio con strumenti tipici del Nord-Est del Brasile. Il film non è solo una riflessione sulle dinamiche di potere di derivazione coloniale e su come possano
manifestarsi nella creazione di immagini, ma anche una provocazione per chi guarda. Utilizza l’arte e la pedagogia radicale come strumenti per riposizionare le storie di persone emarginate e rese invisibili. Pertanto l’opera incoraggia strategie per
ripensare collettivamente la realtà e immaginarne le alternative

Oltre a Karimah Ashadu, partecipa Aziz Hazara

Il titolo Takbir, 2022, è un video digitale monocanale, colore, suono 5.1, 9’58”. Hazara riflette sulle eredità materiali e culturali che persistono in Afghanistan in seguito alle occupazioni straniere del territorio. Attraverso l’installazione, la fotografia, il suono e la scultura, l’artista presenta il rapporto individuale e collettivo con la memoria e l’identità, la realtà di guerra e terrorismo. Il film inizia negli anni Ottanta quando gli abitanti di Kabul approfittavano dell’oscurità notturna per protestare contro l’occupazione sovietica in corso. Il ritiro delle truppe nel 1989 ha come conseguenza trentadue anni di guerriglia in tutto il paese. Il lavoro stabilisce una connessione tra il periodo turbolento nella storia dell’Afghanistan e la fine della recente invasione NATO guidata dagli Stati Uniti con gli abitanti che tornarono sui tetti a gridare il Takbir. Nell’agosto 2021 scandirono di nuovo Allah-u akbar come atto di sfida sonoro, rivendicazione collettiva di spazio nell’oscurità.

Un film su guerra e terrorismo

Il video tratta quanto complesso sia il concetto di verità quando è calato nella realtà affettiva dei singoli e di un popolo. Aggira i tentativi fatti dal Governo afgano in carica e sostenuto dagli Stati Uniti e dai Talebani di appropriarsi, a fini propagandistici, di queste grida. Takbir osserva il buio e la luce, il suono e il silenzio, usandoli come strumenti percettivi e metaforici per interpretare le trasformazioni provocate da conflitto e rivendicazioni. Le scene del film sono girate perlopiù a Kabul e evocano la bellezza di una città che scintilla nella notte insieme alle conseguenze crudeli della normalizzazione della
violenza. L’installazione non solo intreccia geografie vicine e lontane, ma incorpora anche rituali sonori recenti e passati in una serie di dislocamenti che attraversano spazi e temporalità multiple.

He Xiangyu espone a Penumbra come Karimah Ashadu

L’installazione House of Nations, 2021, è un video monocanale, 2K, colore, suono 5.1, 28’58”. La pratica artistica di Xiangyu riverbera l’impatto delle turbolenze geopolitiche e storiche su individui e comunità. L’autore esplora questioni legate all’identità e alla sopravvivenza da un punto di vista interculturale. Ambientato durante la pandemia da COVID-19, è il ritratto intimo e sfuggente di un giovane cinese che vive in una residenza per studenti internazionali a Berlino. Il film lo segue per due anni nelle sue faccende quotidiane, in incontri sociali e momenti privati, avvolto nell’invisibilità che il contesto urbano accorda alla vita degli individui. Attorno a lui non avviene nessun fatto degno di nota. Eppure minuscoli
granelli di polvere, uno sguardo solitario, una disconnessione nel linguaggio corporeo, si insinuano, suggerendo aspirazioni e incertezze esistenziali con cui è alle prese.

Il cinema di verità

Le sensazioni tattili come il calore di un fuoco, la morbidezza e la durezza di una corda in una sessione di bondage, diventano la bussola per orientarsi nel suo spettro psicologico. La ricorrenza di porte che si aprono e chiudono allude ai tentativi di tradurre e trasgredire i confini tra la sua interiorità e l’esterno. Con un approccio da cinema verità, il film offre uno spazio dove raccontare le vite che altrimenti rimarrebbero anonime. Rivela quindi i paradossi della globalizzazione, nella sua falsa aspirazione a un mondo senza confini e a spostamenti senza frizioni.

Masbedo con un’installazione diversa da Karimah Ashadu

Pantelleria, 2022, è un’installazione video monocanale site-specific, colore, suono stereo, 19’. Il duo artistico Masbedo si concentra sull’immagine in movimento attraverso un approccio interdisciplinare che spazia dal video alla performance, al
teatro, all’installazione al cinema. I progetti recenti fungono da laboratori di memoria poiché danno voce a storie private che potrebbero mettere in discussione la dimensione pubblica della Storia. Il film si misura con l’eredità storica e mitologica
dell’operazione Corkscrew. Tra il 9 maggio e l’11 giugno 1943, l’isola di Pantelleria fu violentemente bombardata dalle truppe alleate nella prima operazione di riconquista dell’Italia. Gli abitanti raccontano che, dopo la resa, edifici del paese
furono fatti saltare per le riprese di un combat film di propaganda. Dell’episodio, l’opera rintraccia le memorie sedimentatesi nella coscienza collettiva dell’isola e guarda alle implicazioni contemporanee di un evento all’ombra dell’ufficialità.

Un progetto partecipativo

Attraverso un processo partecipativo che ha coinvolto gli abitanti per due anni, Pantelleria evoca la tensione tra la verità e la sua distorsione ideologica. L’Hangar Nervi, simbolo della militarizzazione dell’isola voluta da Mussolini, è ripreso vuoto e abitato da una magica presenza animale. Estratti del combat film sono proiettati sugli edifici dell’isola contemporanea, mentre la telecamera percorre i bunker scavati dall’esercito italiano. La narrazione fuori campo, composta e interpretata dallo scrittore Giorgio Vasta, fornisce un corpo espressivo ai racconti. Il suono di GUP Alcaro e Davide Tomat distorce le
registrazioni dell’Orchestra locale Spata. Trova così nella musica da ballo uno spazio di riattivazione del passato e liberazione nel presente.

James Richards espone con Karimah Ashadu a Penombra

Il lavoro si intitola Qualities of Life: Living in the Radiant Cold, 2022. Include Daily Photos e Observational Photos (entrambe le serie, 2000–2007) di Horst Ademeit (1937–2010) e un estratto di Hemlock (2022) di Leslie Thornton. Si tratta di un’installazione video monocanale site-specific a 2K, colore, suono stereo, 17’29”. Un ringraziamento speciale a Fatima Hellberg. Richards lavora col flusso caotico di oggetti visivi e sonori che costituiscono il tessuto affettivo contemporaneo. L’artista raccoglie, manipola e compone insieme suono, immagine in movimento e fotografia con l’obiettivo di
svelare l’intima vulnerabilità di immagini e corpi, soggetti e oggetti. Il film è un endoscopio materiale e metaforico che registra e compila nature morte domestiche, detriti e sistemi fognari urbani in una suite poetica e musicale. Osserva più da vicino la dimensione privata e pubblica della decomposizione, dell’igiene e del contagio. Sviluppata in più strofe, l’opera
pone un’attenzione granulare sui diversi materiali raccolti, quasi si dedicasse all’anamnesi di un Io, un corpo, una casa, una città.

Un film che si avvale di materiali d’archivio

Il lavoro intreccia discorsi su macro e micro scala in maniera non lineare, dall’evoluzione millenaria della struttura sociale delle api. Un filmato originariamente girato dall’artista Leslie Thornton con cui Richards spesso collabora che diventa una breve analisi di un corpo attraverso una risonanza magnetica. Tra le sue forze guida c’è una serie di immagini provenienti dall’archivio di Horst Ademeit che per decenni ha documentato l’impatto dannoso di radiazioni. Ossia raggi invisibili che lui chiamava “freddi” sull’ambiente circostante. In un’altra strofa sono recuperate vestigia erotiche, narcotiche e nostalgiche dall’appartamento e dallo studio di Richards, poi scansionate e animate in conglomerati mentali. Per tutta la durata del film, oggetti e soggetti, corpi e immagini si solidificano solo per un istante prima di liquefare i propri contorni e trasformarsi in qualcos’altro. Voci e percussioni sviluppate insieme a attori e musicisti affiorano e sprofondando ritmicamente, provocando
nuove interferenze. Nella sottile dimensione quotidiana e infrastrutturale che lo attraversa, il film propone un dilemma sulla sopravvivenza, o forse un trucco.

Emilija Škarnulytė non tratta il colonialismo come Karimah Ashadu

Alla Biennale di Venezia presenta Aphotic Zone, 2022, Installazione video site-specific, 4K, colore, suono 5.1, 16’. I film e le installazioni immersive di Škarnulytė riposizionano i temi della conoscenza umana e dell’interpretazione del mondo in una
spazio-temporale più vasta. Compie un viaggio cinematografico negli abissi dell’oceano per rilevare gli aspetti tanto mitologici quanto rovinosi della cupidigia nella sua pur breve permanenza sulla Terra. Superiamo una fossa a 4 km di profondità e spuntiamo nella zona di buio assoluto (o afotica) delle montagne sottomarine dell’oceano Pacifico, in Costa Rica. Nell’oscurità troviamo alcune strane creature bioluminescenti a rappresentare l’unica fonte di luce.

Tracce di una civiltà antica

Un sottomarino a comando remoto campiona coralli degli abissi con bracci meccanici. Le immagini di un fondale
ondulato generato dati di uno scanner laser 3D e l’imponente radar Duga, un sistema di difesa missilistica dell’era sovietica vicino a Chernobyl, crea un paesaggio di creature preistoriche e tecnologie avanzate. Un agire più che umano e macchinico convive con la memoria sonora di una civiltà remota. Il suono, mixato dagli ingegneri Premi Oscar Jaime Baksht e
Michelle Couttolenc, è registrato nella piazza principale di Città del Messico. Il progetto si è concretizzato alla commemorazione dei 500 anni dalla sanguinosa conquista spagnola di Tenochtitlan. L’ex-capitale dell’impero azteco diventa un fantasma acustico che evoca le distruzioni contemporanee di società ed ecosistemi. Oscillando tra dimensione documentaristica e onirica, l’artista immagina il futuro, un punto di osservazione per indagare il presente.

Ana Vaz e Karimah Ashadu trattano gli effetti dello sfruttamento del Terzo Mondo

É Noite na América, 2021, è un’installazione video a tre canali, 16mm trasferito in HD, colore, suono, 44’. Co-prodotto da Pivô Arte e Pesquisa, e Spectre Production. I componimenti filmici, le performance e gli interventi effimeri di Vaz guardano al Brasile tuttora tormentato dalle conseguenze del colonialismo e del modernismo. Esplorando l’intersezione tra l’Io e l’Altro, tra il mito e la storia, l’artista utilizza gli strumenti del racconto cinematografico per decentrare i confini dello sguardo umano. Il suo film è incentrato sugli effetti del modernismo sull’ambiente, la società e le forme di vita diverse
dal paese sudamericano. Filmato a Brasilia, la cui costruzione ha giustificato violenti ricollocamenti di specie selvatiche e popolazioni indigene, il film si apre con immagini e suoni che disorientano. Tale partitura claustrofobica è filtrata
attraverso le storie dei salvataggi di specie in pericolo raccontate da biologi, veterinari, guardiani dello zoo e agenti di polizia ambientale. I loro discorsi complicano l’ideologia della conservazione, alla luce di una fragilità creata dagli ideali distopici del progresso.

Un film che mostra gli effetti del colonialismo sull’ambiente

L’ecocritica postcoloniale di É Noite na América fa da eco a una riflessione poetica sulla visione cinematografica. Come un rituale notturno filmato su pellicola 16 mm scaduta, un materiale che a sua volta rischia di scomparire, l’installazione lancia un incantesimo animale tra eco-horror, film sull’ambiente e documentario. Sovverte pertanto i limiti dei generi della cinepresa. Nel 2021 una prima versione è presentata in anteprima al Jeu de Paume di Parigi.

Immagien da cartella stampa.