Joseph John Thomson: il 30 agosto 1940 moriva il «papà» degli elettroni

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Il fisico britannico Joseph John Thomson è morto il 30 agosto 1940.

È stato il primo in assoluto a scoprire l’esistenza degli elettroni, e nonostante ciò il grande contributo che ha apportato al mondo scientifico gli è stato riconosciuto appieno soltanto dopo la sua morte, avvenuta il 30 agosto 1940. Joseph John Thomson studiò ingegneria presso il Trinity College di Cambridge ma i docenti dell’istituto non ne compresero appieno la genialità, sottovalutandone le capacità. Il fisico inglese si prese poi la sua rivincita quando nel 1897 studiò e apprese dell’esistenza dell’elettrone, particella di carica negativa, e nel 1907 ottenne il Premio Nobel per la fisica. Tra il 1894 e il 1919 ricoprì la carica di direttore del laboratorio Cavendish di Cambridge. Fu anche presidente (dal 1915 al 1920) della Royal Society di Londra.

Thomson cominciò ad interessarsi agli studi sull’elettromagnetismo dello scozzese James Clerk Maxwell, quindi passò ad occuparsi delle origini dei raggi catodici, una tematica molto dibattuta all’interno della comunità scientifica di quegli anni. Nel 1895 il fisico francese Perrin era riuscito a dimostrare che i raggi catodici trasportavano particelle elettriche negative. Lo studioso britannico sviluppò ulteriormente la scoperta e riuscì ad ottenerne la deviazione in un campo elettrico.

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La scoperta degli elettroni di Joseph John Thomson.

Grazie a questa scoperta giunse alla convinzione che i raggi catodici erano sostanzialmente formati da cariche elettriche negative portate da minuscole particelle di materia che vennero poi chiamate elettroni. Nel 1897 condusse un esperimento che rappresentò una vera e propria svolta per la scienza mondiale: fece in modo che i raggi catodici fossero sottoposti all’azione contemporanea di due campi – uno elettrico e l’altro magnetico – ed ebbe in questo modo la possibilità di calcolarne il rapporto tra carica e massa, velocità compresa. In un secondo momento, analizzando a fondo lo spostamento collettivo delle goccioline di nebbia cariche in un campo elettrico, poté avere ulteriori elementi per individuare l’elettrone e anche la sua massa.

Joseph John Thomson: il genio della fisica che scoprì l’elettrone

Quando riuscì a completare i suoi esperimenti relativi al rapporto tra carica e massa, Joseph John Thomson poté asserire con certezza che sia in campo fotoelettrico che termoelettrico venivano emessi degli elettroni. Avviò quindi una proficua collaborazione con Ernest Rutherford (chimico e fisico neozelandese) grazie alla quale fu possibile misurare l’intensità delle radiazioni rilasciate dalle sostanze radioattive, avendo come riferimento la ionizzazione prodotta in un gas. Dopo aver dimostrato l’esistenza degli elettroni, il fisico britannico si soffermò su un altro studio molto importante e per certi versi epocale.

Partendo dalle particelle con carica elettrica negativa, lo scienziato inglese approfondì la tematica relativa al passaggio di elettricità tramite i gas, ricorrendo alla teoria della ionizzazione. I risultati prestigiosi raggiunti con questa ricerca – anche a fronte dei mezzi tecnologici dell’epoca che di certo non erano avveniristici – gli valsero il Premio Nobel per la fisica. Qualche anno dopo, nel 1937, anche il figlio di Thomson, George Paget, ottenne lo stesso riconoscimento. Questi, infatti, dimostrò che l’elettrone era fondamentalmente un’onda. Dunque era riuscito a migliorare ulteriormente (probabilmente anche grazie ad una tecnologia all’avanguardia) le storiche scoperte dell’illustre padre.

George Paget, figlio di J-J Thomson.

Una volta appurata l’esistenza dell’elettrone, si ripropose nel dibattito scientifico l’annosa questione della struttura della materia. Joseph John Thomson a tal proposito presentò un modello di atomo formato da una distribuzione incessante di elettricità positiva, all’interno della quale si muovevano lungo traiettorie concentriche tanti elettroni quanti ne erano necessari per equilibrare la carica positiva. Questo prototipo fu importante perché mise in risalto la questione dell’instabilità radioattiva, anche se poi fu superato dal prospetto di atomo proposto da Rutherford. Uno dei migliori allievi di Thomson fu Francis William Aston che di fatto lavorò tenendo conto degli studi del suo maestro, arrivando così nel 1920 ad inventare lo spettrografo di massa che serviva a stabilire il rapporto tra la massa e la carica degli ioni. Da quel momento è diventato uno degli strumenti cardine della chimica.

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Joseph John Thomson fu sicuramente stimato dai contemporanei per le sue scoperte, anche se in realtà non venne mai apprezzato fino in fondo dalla comunità scientifica che spesso palesò delle perplessità sui suoi studi ed esperimenti. Addirittura, secondo una leggenda metropolitana, pare che nel 1937 abbia ottenuto il Premio Nobel perché proprio quell’anno non c’erano tanti altri nomi meritevoli del riconoscimento. Probabilmente si trattò di una voce lasciata circolare per screditare l’importanza delle scoperte del fisico britannico.

Soltanto dopo la sua dipartita il mondo scientifico ebbe l’occasione di analizzare meglio, di comprendere e di apprezzare la portata del lavoro del «papà» degli elettroni. Non a caso, per cercare di riparare alla scarsa considerazione che gli era stata riservata in vita, le istituzioni dopo il trapasso ne autorizzarono la sepoltura presso l’Abbazia di Westminster accanto a Isaac Newton.