James Matthew Barrie e la storia che ci ha fatti sognare: Peter Pan

James Matthew Barrie morì il 19 giugno del 1937, esattamente 82 anni fa. Quale modo migliore di ricordarlo se non con la favola che ha fatto sognare generazioni e ci ha insegnato che «tutti i bambini crescono, tranne uno»? L’immaginario collettivo sa perfettamente a chi ci stiamo riferendo: il principe dei folletti, Peter Pan. La favola di Barrie è un racconto immortale che descrive in parte la sindrome della nostra epoca e che ha accompagnato e cresciuto (purtroppo si, noi altri siamo cresciuti) generazioni di sognatori. Non esiste bambino che non immagini, almeno per un istante, di volare via con Peter nella meravigliosa Isola che non c’è, non esiste adulto che non rimpianga i bei tempi andati, in cui pochi erano i problemi (chi la pensa davvero così ha ricordi sfocati di cosa significhi essere un bambino).

L’autore: James Matthew Barrie

Barrie nasce a Kirriemuir il 9 maggio 1860 e muore a Londra il 19 giugno 1937. L’idea di Peter Pan arriva grazie ad un incontro casuale nei giardini di Kensington. Sarà proprio in quel luogo che farà la conoscenza di Sylvia e Arthur Davies con i loro cinque figli: George, Jack, Peter, Michael e Nicholas. Tra loro nascerà un’amicizia speciale tanto che, in seguito alla morte dei coniugi Davies tra il 1907 e il 1910, a Barrie verrà affidata la custodia dei bambini.

Le avventure di Peter Pan debuttano nel 1904 grazie allo spettacolo teatrale Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere. La storia arriva a riscuotere un notevole successo: Barrie la modifica e la amplifica, trasformandola poi in un romanzo pubblicato nel 1911 con il titolo Peter e Wendy,  infine semplicemente Peter Pan.

L’isola che non c’è

Ma cosa ci attrae maggiormente? Il pensiero di un bambino che non può più crescere o quello di un’isola magica creata dalla nostra immaginazione? Effettivamente su questo punto c’è un po’ di confusione. Non esiste un’unica Isola che non c’è: Barrie specifica che ogni bambino possiede la propria; esse variano notevolmente ma hanno anche dei precisi tratti in comune. Quella che noi conosciamo bene è frutto della fantasia dei tre fratelli Darling e muta a seconda dei sentimenti di Peter; l’autore ci spiega «anche noi ci siamo stati un tempo; e se vogliamo, possiamo ancora udire lo scrosci della risacca, anche se non vi approderemo mai più».

Peter Pan

Nel momento stesso in cui crescono i bambini “muoiono” per rinascere come adulti, questa è la teoria del libro. Così facendo si dimenticano di essere volati anche loro via con Peter Pan, scordano le avventure, la magia, i sogni ad occhi aperti, le coperte che diventano un rifugio, il letto che si trasforma in un vascello. Alcune teorie vogliono che sia stato Peter stesso, terrorizzato dal pensiero di diventare grande, a fuggire di casa per andare nei magici giardini londinesi di Kensington. In questo luogo, nel 1912, venne edificata una statua raffigurante Peter Pan in onore di tutte le creature del mondo fiabesco. Altre teorie hanno descritto il principe delle fate come un giovane con una vena dittatoriale: nel romanzo è lui a decidere quando i Bimbi Sperduti devono mangiare e, in maniera molto schietta e semplice, Barrie ci rivela che quando Peter si stancava di loro li uccideva.

La vera natura di Capitan Uncino

Capitan Giacomo Uncino è l’acerrimo nemico di Peter, nonché l’antagonista della storia. Egli odia Peter Pan, lo vuole infilzare con quello stesso uncino che Peter lo costrinse a mettersi dopo aver gettato la sua mano in pasto ad un famelico coccodrillo. Ma è solo quello il problema? I pirati in questa storia sono “i cattivi” tuttavia, probabilmente, l’astio tra i due personaggi era molto più antico del duello in cui Uncino perse la mano. Molto spesso il capitano viene sbeffeggiato e chiamato “vecchio”; magari è proprio questo il suo grande rammarico. Peter Pan, eterno giovane, capace di volare grazie ai suoi pensieri felici (e alla polvere di fata)  ha tutto ciò che Uncino non avrà mai, o meglio, non avrà mai più poiché bloccato in un luogo per lui infernale, costretto ad una eterna battaglia che forse è consapevole di non poter vincere.

La sindrome di Peter Pan

Comportamento infantile post trenta, credere di avere un’età diversa da quella reale, rifiuto di affrontare determinati problemi, incapacità di crescere e di assumersi le conseguenti responsabilità: di eterni Peter Pan ne è pieno il mondo. Da una beffa e da una favola si passa tuttavia a realtà psicologica: stiamo parlando della neotenia psichica. La neotenia, in parole povere, è il raggiungimento da parte di un individuo della maturità conservando tuttavia i caratteri giovanili. Ovviamente la sindrome di Peter Pan è un atteggiamento mentale, non fisico; inoltre essa non è menzionata nel DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders).

Il finale

Il messaggio finale del libro di Barrie è chiaro: Wendy capisce che l’Isola che non c’è non è il posto giusto per lei. Il suo dovere è quello di crescere e diventare adulta e la sua conseguente decisione è quella di tornare a casa. E Peter Pan? No, la morale del libro non è quella, Peter non “impara la lezione” e non seguirà mai Wendy. L’unico desiderio della bambina è che lui non si dimentichi mai di lei e torni a trovarla per ascoltare le sue favole: neanche questo accade. Come abbiamo detto: raramente ciò che preoccupa un grande preoccuperà un bambino. Peter Pan si dimenticherà della sua amata Wendy e tornerà a  trovarla solo quando lei sarà oramai un’adulta, per portare sua figlia Jane in volo verso un’altra avventura.

Silvia Sini
Silvia Sini
Neo-laureata in Editoria e Scrittura, clowndottore, capo scout.

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