Isresilienza: cosa c’insegna il popolo ebraico

Quale sarà il segreto del popolo di Israele che reagisce alle difficoltà tornando più forte di prima?

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isresilienza

Avete mai sentito nominare la parola ISresilienza? Se la risposta è no, non vi preoccupate. Di certo non sarete gli unici. In effetti, si tratta quasi di uno scioglilingua coniato per veicolare un concetto profondo. Ossia la capacità che ha la comunità ebraica di reagire alle avversità. Quanto a noi, potremmo trarne una lezione di vita?

Cosa s’intende per Isresilienza?

Isresilienza spiega un’idea tanto semplice quanto potente. Gli israeliani non si limitano solo a riprendersi dagli eventi sfavorevoli, ma tornano più forti di prima. Come avrete sicuramente notato il vocabolo richiama la parola resilienza, che in psicologia indica la capacità di riorganizzare la propria vita dopo un trauma. Un termine che ha avuto molto successo ultimamente, tanto da entrare a far parte del lessico quotidiano. Ma perché questo concetto sarebbe particolarmente vero per il popolo di Israele? Se non altro, il passato ne è testimone. Anche quello recente. Dall’Olocausto alle persecuzioni religiose, nel corso dei secoli la storia della comunità ebraica è disseminata di avversità. Non è un caso se oggi parliamo di antisemitismo, se non proprio di giudeofobia. Dunque quale sarà il segreto di tanta forza e determinazione?

What Israelis can teach the World?

Cosa ci insegna il popolo ebraico? Per saperlo, occorrerebbe chiedere all’autore della definizione di cui stiamo parlando. Lo scrittore israelo britannico Michael Dickson. O in alternativa, leggere il libro che ha scritto assieme alla dottoressa Naomi Baum. Dal titolo Isresilience: What Israelis Can Teach the World, l’agile volumetto di 172 pagine esplora come una piccola nazione sia riuscita a prevalere sulle avversità. Per altro, una pubblicazione che sta attirando l’attenzione anche al di fuori della comunità ebraica. Tanto che sarà presto tradotto in norvegese e spagnolo. Intanto, a Nathan Jeffay del Times of Israel, Dickinson ha rivelato qualche succulento dettaglio.


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Isresilienza del popolo ebraico

Già Primo Levi aveva osservato: “La storia di questo popolo si presenta con caratteristiche particolari. Esso era, ed è tutt’ora, depositario di un legame interno molto forte, di natura religiosa e tradizionale“. Che sia questa la caratteristica vincente? Per Michael Dickson potrebbe essere una spiegazione valida almeno in parte. Tuttavia, l’autore ha notato che la stessa comunità ebraica non si rende conto delle proprie potenzialità. Anche Dickinson, per sua ammissione, ha dichiarato di essere rimasto affascinato dalla caparbietà del suo popolo solo dopo che si era trasferito a Londra. Grazie a questo sguardo esterno, ha scoperto quali siano le peculiarità che identificano la resilienza del popolo di Israele. Ad esempio, come le persone lottino per ricostruire le loro vite. O per raggiungere quelli che considerano i propri obiettivi personali e professionali.

La dichiarazione

Al Jewish News, Dickinson ha spiegato: “Questa è la mia lettera d’amore al popolo israeliano, ma è anche di più. È condividere la loro lezione di vita“. E ha ammesso: “Siamo ispirati dalla loro capacità di andare avanti nonostante le difficoltà“. “E l’obiettivo punto del libro è consentire ad altri, comprese le persone che potrebbero non avere alcun legame con Israele, di apprendere una lezione di vita“. Infatti, Dickson e Baum hanno raccolto quattordici storie personali “basate su lunghe discussioni che ci hanno fatto ridere e piangere“. Ognuna di esse indaga un aspetto della resilienza israeliana. Soprattutto, come si sia formata la tempra della comunità ebraica. Dagli orrori della guerra alle discriminazioni religiose. Al peggiore di tutti. Il dramma di perdere un figlio sotto i bombardamenti.

Isresilienza come stile di vita

Spesso gli israeliani danno per scontata la loro capacità di recupero“, ha osservato Dickson al Times of Israel. Poi, il 43enne direttore esecutivo dell’organizzazione di difesa StandWithUs Israel ha aggiunto: “Spesso ci accorgiamo che gli intervistati dicono qualcosa di incredibile come se non avesse affatto importanza“. Le testimonianze raccolte nel libro spaziano da personaggi famosi a gente comune. Come ha spiegato Dickinson: “Gli intervistati vanno da personaggi noti come Natan Sharansky, sfruttato a causa della sua famosa determinazione quando era in prigione sovietica“. Ma anche “Israel Meir Lau, bambino sopravvissuto all’Olocausto ed ex rabbino capo“. Oltre “A israeliani meno conosciuti“.

Alcune storie di isresilienza

Ad esempio, Natan Sharansky ha raccontato la sua terribile esperienza di prigionia nei gulag russi. Ma anche come sia riuscito a mantenere il controllo sulla sua mente che gli ha permesso di soprravvivere a una prova simile. Inoltre, Dickinson e Baum hanno ascoltato anche l’ex rabbino capo Yisrael Meir Lau, traendone una lezione di vita. Meir Lau era arrivato come orfano in Israele quando aveva appena otto anni. E dopo sopravvivere non solo al campo di concentramento di Buchenwald. Ma anche al lungo viaggio verso la Terra Promessa. Lì, in quella che era la Palestina, il bambino è stato cresciuto dagli zii che gli hanno insegnato il mestiere di famiglia. Una tradizione che li identificava come stimati rabbini. Allo stesso tempo, però, il libro raccogli anche le storie di gente comune. Ma non per questo meno importanti.


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Isresilienza a 360 gradi

Come la vicenda di Shula Mola e Mequnante Rahamim, due immigrate etiopi che hanno affrontato numerose difficoltà nel loro tragitto verso Israele. Soprattutto un viaggio insidioso come quello che dall’Etiopia porta al Sudan, raggiungendo infine lo Stato ebraico. Il modo in cui le donne hanno affrontato le peripezie del viaggio non è solo indice di forza interiore. Ma è soprattutto un messaggio di speranza in una nuova vita e in un futuro più luminoso. Anche se questo ha significato affrontare lo stigma sociale una volta giunte a destinazione, grazie a impegno e tenacia sono riuscite a emergere in ambito professionale. Ma il popolo di Israele ha mostrato di riuscire anche nelle competizioni sportive, malgrado gravi infortuni o disabilità. Tra le quattordici storie raccontate c’è quella di Noam Gershony, che ha vinto l’oro nel tennis alle Paralimpiadi.

Isresilienza nello sport

Come spiega Dickson, Gershony era “Un pilota precipitato con l’elicottero che aveva riportato ferite tanto gravi da non poter rientrare al lavoro“. Eppure, “Ha imparato a giocare a tennis in sedia a rotelle, ha gareggiato alle Paralimpiadi di Londra 2012 e ha vinto la prima medaglia d’oro di Israele“. Mentre Nadav Ben Yehuda ci regala una storia di umanità. Infatti, l’alpinista di fama internazionale ha rinunciato all’impresa di raggiungere la cima del Monte Everest per soccorrere un compagno in difficoltà. Quando ha concluso la scalata era a 300 metri dalla vetta. Per di più, Nadav è riuscito a portare in salvo lo scalatore ferito solo dopo otto interminabili ore trascorse tra dura la roccia e il gelo tagliente. Una volta al campo base, entrambi sono stati soccorsi e portati in ospedale in elicottero.

Cosa dicono gli autori?

Ci sono così tante storie di ispirazione in Israele in un certo senso avremmo potuto intervistare quasi chiunque“, ha ammesso Dickson al Times of Israel. Il segreto del successo? Per Dickson è solo uno. “Siamo bravissimi nel rivedere le opzioni e nel cambiare a metà percorso“. Per l’autore, la resilienza israeliana è dovuta soprattutto al fatto che i cittadini sono abituati ad affrontare le difficoltà. Lui stesso ha riconosciuto: “I miei figli, dai 9 ai 16 anni, hanno un’infanzia molto diversa in Inghilterra da quella che ho avuto io“. Infatti, “Non hanno assistito all’accoltellamento dell’intifada, agli attacchi missilistici e alla guerra“. “Non sono corsi ai rifugi antiaerei quando necessario o assistito al rapimento dei giovani israeliani“. Poi, una riflessione. “Queste cose sono terrificanti, ma il fatto di conviverci crea una capacità di recupero che non vedo nei miei figli e nella società in generale“.

Le caratteristiche della isrelisilenza

Quindi di cosa si costituisce l’isresilienza? Secondo Dickson sono tre gli aspetti. “Il primo è l’empatia, ovvero la capacità di essere consapevoli della propria situazione e della situazione degli altri“, ha detto. “Quando puoi farlo nel mezzo di una crisi, ti permette di identificare i tuoi sentimenti e non di evitarli, e di capire quelli degli altri“. Secondo lo scrittore, “Questo è positivo perché se le persone hanno paura delle proprie emozioni si spengono e diventano insensibili“. Un secondo aspetto da non sottovalutare è l’avvicendarsi delle feste nazionali, che allenano la nostra capacità di entrare in empatia con gli altri e formano il “collante sociale”. Ad esempio, la gioia vissuta durante Pèsach, la Pasqua ebraica, è seguita dalla rispettosa compostezza di Yom Hazikaron. Il giorno della memoria. E poi ancora la festosa celebrazione dello Yom Ha’atzmaut, il Giorno dell’Indipendenza.

Un significato per tutto

Infine, per Dickson la terza qualità che fonda la resilienza israeliana è la propensione a “trovare un significato” dopo una tragedia o un disagio. “Abbiamo parlato con Sherri Mandel, il cui figlio è stato ucciso in un attacco terroristico del 2001“. “Un evento del genere non abbandona mai un genitore“, ha affermato lo scrittore. Dal canto suo, Sherri ha raccontato quello che è stata in grado di fare in memoria del figlio. Ad esempio, organizzare dei campi estivi per le famiglie delle vittime del terrorismo. “Non parliamo di tornare al punto partenza, poiché non torni mai esattamente come eri prima“, ha spiegato Dickson. “Prendiamo in prestito l’idea del terapeuta familiare Froma Walsh che afferma come in realtà siamo catapultati in avanti, perché se dai un significato arrivi più in là“.

Un commento

Ad aver già letto il libro è Stephen Donshik, docente in pensione della Hebrew University. Nella sua recensione, il professore parla del volumetto come di un caro amico da portare sempre con sé. “La dottoressa Naomi Baum e Michael Dickson hanno scritto un libro pertinente e attuale che potrebbe infondere forza per paesi, comunità, organizzazioni e famiglie durante la pandemia“. “Anche se non si occupano specificamente di COVID-19, la loro attenzione al significato di resilienza e al modo in cui le persone affrontano situazioni difficili e spesso pericolose per la vita è applicabile alla crisi attuale“. In cui le famiglie stanno affrontando la sfida più grande, secondo il professore. Ossia quella “di tornare a un equilibrio e alla normalità“.

Il punto

A prima vista, il concetto di isresilienza potrebbe includere due significati contraddittori. Da una parte resistere. Il “tenere duro”. Mentre dall’altra osare, essere spontanei. In definitiva, improvvisare. Ma questo è quanto. Quindi, il successo sarebbe giocato proprio su questo: agire o restare. Un difficile equilibrismo sul baratro. Ad ogni modo, le storie raccolte nel libro vogliono essere solo un piccolo conforto per i lettori che nasce dalla solidarietà. E anche dalla consapevolezza che ognuno di noi affronta dei momenti difficili e di sofferenza. Ma che ci sia sempre una via d’uscita quando si sia disposti a crederlo. Al momento, non sappiamo se la Crusca vorrà inserire tale definizione nel vocabolario. Ma intanto potremo imparare un’importante lezione di vita.


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Chi è l’autore di Isresilienza?

Classe 1977, Michael Dickson è uno scrittore con doppia cittadinanza britannica e israeliana. Indicato come il 14 esponente della comunità ebraica più influente su Twitter, partecipa spesso a dibattiti pubblici. Dickson è stato nominato uno dei primi 40 sostenitori globali di Israele dalla Jewish News Syndicate (JNS), nonché uno dei 30 israeliani che fanno la differenza dal programma Hatzinur di Channel 10 TV. Al momento è co-fondatore e direttore esecutivo dell’ufficio di StandWithUs Israel a Gerusalemme. La scuola che finora ha formato più di 1.500 futuri diplomatici e leader politici di Israele. Infine, Dickson è anche Associato senior presso il Center for International Communication (CIC) della Bar Ilan University e membro onorario di Alpha Epsilon Pi.

La co-autrice

La dottoressa Naomi Baum è psicologa di fama internazionale specializzata in traumi e resilienza che offre consulenze in tutto il mondo. Di recente, ha concluso il suo mandato di 12 anni come Direttore dell’Unità di Resilienza presso il Centro Israeliano per il Trattamento dello Psicotrauma, a Gerusalemme. Inoltre, è consulente senior per Chai Lifeline del progetto Chai a New York.


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