venerdì, Marzo 29, 2024

Israele si difende dalle accuse di Apartheid

Il governo di Israele si difende dalle recenti accuse di un’organizzazione per la difesa dei diritti civili e politici. Secondo quanto denunciano gli attivisti, lo Stato starebbe estendendo arbitrariamente la propria sovranità per occupare i territori limitrofi. In più sarebbe responsabile di avvallare un regime di “apartheid” a scapito dell’uguaglianza dei diritti. Dura e immediata la replica delle autorità. Vediamo di cosa si tratta.

Israele si difende da cosa?

Israele si difende dall’accusa di essere un “regime di apartheid” che impone la propria supremazia anziché rappresentare una forma di governo democratica. La denuncia arriva dall’organizzazione per la tutela dei diritti B’Tselem che ha attirato l’attenzione internazionale. E non solo. Secondo quanto riporta Il Guardian, il diplomatico Ohad Zemet ha definito le rivendicazioni degli attivisti come “false informazioni”. In più, come portavoce dell’ambasciata britannica di Israele, Zemet ha liquidato il rapporto come “strumento di propaganda”. E ha chiarito: “Israele respinge le false affermazioni nel cosiddetto rapporto in quanto non si basa sulla realtà ma su una visione ideologica distorta“. Tuttavia, gli attivisti insistono sul fatto che Israele stia abusando della propria influenza (anche militare) per occupare di fatto i territori palestinesi da almeno mezzo secolo.

Qualche dettaglio in più

Più precisamente B’Tselem ha riferito: “Un principio organizzativo sta alla base della vasta gamma di politiche israeliane: avanzare e perpetuare la supremazia di un gruppo, gli ebrei, su un altro, i palestinesi“. Mentre il direttore esecutivo del gruppo, Hagai El-Ad, ha commentato: “Israele non è una democrazia cui è associata un’occupazione (territoriale) temporanea“. Poi ha osservato: “È un regime tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo“. E ancora: “Dobbiamo guardare il quadro complessivo e vederlo per quello che è, un apartheid“. Secondo gli attivisti Israele starebbe occupando i territori della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, strappata alle milizie giordane nel conflitto del 1967. Oltre alla Striscia di Gaza, regione estremamente impoverita e passata dalle autorità egiziane agli israeliani fino al 2005.

Israele si difende da accuse vere?

A ben guardare la denuncia di B’Tselem fa parte di un movimento più ampio, dovuto al cambio di percezione della popolazione interessata. In effetti, gli attivisti sostengono che le autorità israeliane non solo abbiano occupato indebitamente i territori palestinesi. Ma anche che abbiano deliberatamente creato un sistema discriminatorio nei territori su cui estendono la propria sovranità. Un esempio di ciò, riferisce l’organizzazione, è il fatto che i cittadini palestinesi siano divisi in gruppi, in tutto quattro, a ognuno dei quali siano attribuite diverse prerogative rispetto all’area geografica. Comunque sia, gli attivisti denunciano che in nessun caso le tutele riconosciute a ciascuna “classe” equivalgono a quelle concesse al popolo ebraico. Ecco cosa risulta dal rapporto.

Le “fasce” di diritti

Secondo B’Tselem a occupare il gradino più basso sarebbero i circa 2 milioni di palestinesi della Striscia di Gaza. Quest’area governata dal gruppo dei militanti di Hamas sarebbe “soggiogata” a Israele che ne eserciterebbe un “controllo efficace”. Appena sopra di loro ci sarebbero i quasi 3 milioni di “sudditi” palestinesi in Cisgiordania, costretti a vivere in “dozzine di enclavi disconnesse, sotto un rigido governo militare e senza diritti politici“. In base agli accordi ratificati negli anni ’90, infatti, i palestinesi in Cisgiordania hanno un autogoverno limitato. In più, B’Tselem ha spiegato che in questa regione il governo palestinese “è ancora subordinato a Israele e può esercitare i suoi poteri limitati solo con il consenso di Israele“.

I livelli superiori

Il gradino successivo della scala gerarchica è occupato dai 350.000 palestinesi che vivono a Gerusalemme Est ai quali Israele ha offerto la cittadinanza. Sebbene più per proforma che per una reale volontà inclusiva. Questo sulla scorta del fatto che i pochi motivati a proseguire con la domanda (molti infatti hanno rifiutato per principio) vedano la pratica respinta già nelle fasi preliminari. Ad ogni modo, hanno proseguito gli attivisti, il rango più elevato è ricoperto dai cittadini palestinesi nello Stato di Israele. Chiamati anche “arabo-israeliani”, rappresentano circa un quinto della popolazione e godono della piena cittadinanza. Tuttavia, nemmeno a tali “privilegiati” sono riconosciute le prerogative di cui gode la comunità ebraica. Anche sotto il profilo delle leggi sull’immigrazione.

Israele si difende: le dichiarazioni ufficiali

Seccato, l’ambasciatore israeliano Ohad Zemet ha respinto al mittente le accuse e ha assicurato che valgono pieni e uguali diritti in tutti i territori gestiti da Israele. Indipendentemente dal credo religioso. Poi, il diplomatico ha spiegato come tutti i cittadini siano “rappresentati in tutti i rami del governo, nel parlamento israeliano, nei tribunali (inclusa la corte suprema), nel servizio pubblico e persino in il corpo diplomatico dove rappresentano lo Stato di Israele nel mondo”. Ma le parole non hanno convinto le istituzioni internazionali, tra cui la Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l’Asia occidentale. In effetti, l’organizzazione è stata la prima a denunciare l’apartheid in Israele nel 2017. Un crimine ai sensi del diritto internazionale. Nonostante un assai risentito portavoce del ministero degli Esteri all’epoca avesse bollato l’accusa come propaganda nazista. Intanto, numerose organizzazioni nazionali hanno rilevato simili criticità.

Israele si difende da accuse infondate?

Quando nel 2020 il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva dichiarato di voler annettere alcune aree della Cisgiordania, il gruppo israeliano Yesh Din aveva diramato un proprio parere legale. In particolare, l’organizzazione per la difesa dei diritti aveva rilevato forti disparità di trattamento in tutto il Paese a causa delle politiche israeliane. Oltretutto, 47 esperti dell’Onu si erano opposti all’annessione territoriale perché sarebbe stata “la cristallizzazione di una realtà già ingiusta: due popoli che vivono nello stesso luogo, governati dalle stesse istituzioni ma con diritti profondamente diversi”. E ancora: “Questa è la visione di apartheid del 21° secolo“.

Concludendo

Dunque, alla luce di quanto fin qui illustrato appaiono palesi e ben documentate le violazioni del regime di Israele nei territori sui quali esercita la sua influenza. Eppure le Nazioni Unite non hanno appoggiato la pubblicazione del rapporto di B’Tselem, poi rimosso anche dal sito dell’organizzazione. Al momento, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha sospeso “sulla carta” le proprie mire espansionistiche. Anche se molti gruppi di attivisti per i diritti (sia israeliani sia palestinesi) sostengono che le autorità stiano imponendo un’annessione di fatto dei territori. Ad esempio la Cisgiordania, con oltre 400.000 “coloni” ebrei che vi abitano godendo degli stessi diritti e servizi.


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