Ipnosi regressiva, strumento di accesso alle vite passate

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 Tra le metodologie non scientifiche utilizzate in ambito psicoterapeutico, sicuramente l’ipnosi regressiva rappresenta uno strumento valido di accesso alla psiche umana. Sarebbe in grado, infatti, di fare affiorare, durante lo stato di trance, ricordi rimossi di eventi traumatici.

Secondo i sostenitori di tale pratica, tra cui non possiamo non ricordare lo psicoterapeuta statunitense nostro coevo Brian Weisz, attraverso la rievocazione di ricordi di eventi traumatici subiti nell’infanzia o, addirittura, in vite precedenti, è possibile ripristinare l’equilibrio psicologico di soggetti i cui eventi traumatici vissuti senza averne ricordo hanno influenzato comportamenti, pensieri e malesseri fisici e psichici.

Gran parte della comunità scientifica, però, considera l’ipnosi regressiva come una pseudo scienza che genera falsi ricordi, come se i ricordi creati sotto ipnosi non fossero distinguibili dai ricordi reali attribuibili alla vera esistenza presente o passata di un individuo.

Secondo i detrattori della metodologia dell’ipnosi regressiva, infatti, i ricordi che emergerebbero durante lo stato ipnotico del paziente sarebbero frutto dell’influenza del terapeuta sul subconscio del soggetto.

A smentire quanto affermato dalla medicina tradizionale ci pensano, con forza e studi, psichiatri del calibro di Ian Stevenson, Angelo Bona e il già citato Brian Ways, che nella loro pratica clinica affermano di avere riscontrato, durante lo stato ipnotico dei loro pazienti, l’emersione  di contenuti riferibili concretamente non solo all’esistenza attuale, ma anche a vite precedenti.

Molti libri scritti proprio dai sostenitori della pratica dell’ipnosi regressiva documentano in maniera minuziosa come in molti casi di pazienti ipnotizzati è stato possibile dare un riscontro concreto ai ricordi emersi sotto stato di trance attribuibili ad esistenze precedenti. Sono stati documentati, infatti, casi di individui perfettamente capaci di parlare lingue mai studiate, o di descrivere minuziosamente dettagli di luoghi mai visti, questo materiale è alla base dei racconti proposti dai sostenitori dell’ipnosi regressiva.

A parlare di ipnosi regressiva già nel 900 a.C. fu il filosofo indiano Patanjali, infatti già nelle Upaniad, testi sacri di induismo, vedismo e bramanesimo, il filosofo indiano definisce le regressioni come una nascita a ritroso in grado di  purificare il karma accumulato nelle vite precedenti.

Alla base dell’ipnosi regressiva vi è il depotenziamento nel soggetto della relazione con l’ambiente esterno, attraverso suggestioni di stanchezza e torpore.

Sebbene la pratica dell’ipnosi regressiva risulti ad oggi ancora una metodologia priva di fondamento scientifico, risultati apprezzabili sono stati riscontrati grazie a tale pratica ipnotica, per la risoluzione di problemi quali ansia, depressione, attacchi di panico, fobie e problemi di origine psicosomatica.

L’ipnosi regressiva, essendo un trattamento che si addentra nella mente dell’individuo, va considerata come una pratica delicata, che non va presa assolutamente in maniera ludica, a cui bisogna avvicinarsi solo attraverso professionisti qualificati e con grande esperienza, per evitare rischi, perdita di tempo e di denaro.

L’anima, quell’essenza immortale