Sono giorni difficili questi. Ventisette milioni di italiani hanno dovuto fare rinunce nel 2021. E nonostante una previsione di incremento del Pil a +6%, non c’è ripresa dei consumi. In quanto è in corso l’aumento speculativo dei prezzi delle materie prime. Si sa che gestire il “post pandemia”, ammesso che siamo già in questa fase, non è per niente semplice. Difatti alla crisi economica e sociale si aggiungono i dati allarmanti della disoccupazione, i problemi dei mercati finanziari e l’inflazione galoppante. Tutte gatte da pelare dalle incognite notevoli. Il cui esito condizionerà la ripresa nei prossimi mesi. Perché, come è noto, dopo anni di stagnazione se non addirittura di recessione, si registra una impennata dell’inflazione. Trainata da luce (+ 30% ) e gas (+15%).
Inflazione galoppante: quali le cause?
Secondo l’Istat nel mese di ottobre, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,7% su base mensile. E del 3,0% su base annua. Accelerano rispetto al mese di settembre anche i prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +2,0% a +2,4%). Dunque, una stangata da 922 euro a famiglia.Con una crescita che nel complesso ha un’ampiezza che non si registrava da settembre 2012. Allora si toccò quota +3,2%. Un’impennata dovuta sopratttutto ai prezzi dell’energia. Saliti vertiginosamente nel terzo trimestre del 2021. E che dovrebbero rimanere elevati anche nel 2022. Il forte rimbalzo dei prezzi delle materie prime si sta rivelando più pronunciato di quanto previsto in precedenza. Anche la BCE considera il fenomeno trasitorio e che durerà più del previsto.
Inflazione nell’area-euro
L’impennata dei prezzi sta interessando anche i Paesi dell’Eurozona. Stime Eurostat mostrano, a ottobre 2021 nell’area-euro, prezzi dell’energia al 23,5% (a ottobre 2020 erano del -8,2%). L’indice che aggrega tutte le componenti, ovvero l’indice dei prezzi al consumo che costituisce la variabile di riferimento per la Bce, ammonta al 4,1%. Mentre fino a meno di un anno fa, era in negativo. Negli ultimi mesi molti economisti hanno ventilato la possibilità di un ritorno della stagflazione come negli ’70. Quando, in corrispondenza della doppia crisi petrolifera del 1973 e del 1979, si registrò un periodo prolungato di crescita stagnante ed elevata inflazione.
Strategie di politica monetaria
La volatilità dei prezzi può complicare le scelte di politica monetaria. Di norma una congiuntura con bassi tassi d’interesse, infatti, dovrebbe stimolare investimenti e consumi. Poiché tenere il denaro fermo non porterebbe alcun vantaggio a imprese e risparmiatori. In questo modo ci si potrebbe aspettare un’espansione della domanda e di conseguenza crescita economica. Quando però i tassi si abbassano al punto da toccare lo zero, si finisce in quella che J. M. Keynes definì “trappola della liquidità”. Ossia quella situazione in cui, tra le altre cose, la banca centrale non è più in grado di stimolare la crescita mediante il taglio dei tassi di interesse. Pertanto uscire da una simile situazione è difficile.
Inflazione galoppante: gli effetti sul debito pubblico
Sembrerà strano, ma un aumento dell’inflazione potrebbe facilitare di contro, la riduzione del debito pubblico. E potrebbe ridurre il rapporto tra debito pubblico e Pil a patto che non crescano anche i tassi di interesse sui titoli di Stato. Difatti, la crescita della ricchezza interna incide sul rapporto debito-Pil. E, quindi, questo effetto esercita una pressione a ribasso sul rapporto. Al contrario, l’effetto dell’inflazione sui tassi d’interesse esercita indirettamente una pressione a rialzo su tale rapporto. Perché i creditori chiederebbero rendimenti superiori per compensare l’erosione del proprio capitale causata dalla maggiore inflazione. Ed i tassi, conseguentemente, aumenterebbero incrementando la spesa per interessi che lo Stato deve pagare. Intanto la Banca centrale europea (Bce) ha comunicato che intende proseguire, almeno fino a marzo 2022, con gli acquisti di titoli di Stato e obbligazioni societarie. Nell’àmbito del programma di emergenza pandemica da €1850 miliardi Pepp. Seppur ricalibrandolo leggermente. Attualmente il ritmo di acquisto di asset è moderatamente inferiore rispetto al secondo e terzo trimestre del 2021. Allo stesso tempo non rialzando i tassi. Il tasso ufficiale rimane a 0. Il tasso sui depositi a -0,50% e il tasso sui prestiti marginali a 0,25%.