I recenti comportamenti della polizia nei confronti dei giornalisti mettono a rischio la tenuta della libertà di stampa in India. I problemi tra forze dell’ordine e informazione sono sorti quando quest’ultima ha iniziato a raccontare le violenze della polizia durante le manifestazioni in difesa dell’agricoltura locale.
I problemi dell’India con la libertà di stampa
Durante una manifestazione tenutasi a Delhi e all’interno della quale erano accorsi 100.000 agricoltori con i loro trattori, la polizia avrebbe ucciso Navneet Singh, un agricoltore di 34 anni. Gli agricoltori sono scesi in piazza perchè temono che le nuovi legge emanate dal governo Modi(poi sospese) possano aprire il mercato agricolo all’ingresso delle multinazionali. Tornando ai fatti la notizia della morte di Singh era stata rilanciata dal giornale indiano Caravan: “Navneet Singh, un agricoltore di 34 anni manifestante di Uttarakhand, è stato ucciso all’ITO [l’area del Tax Office del reddito della città] questo pomeriggio, accanto a un testimone oculare”.
L’atteggiamento della polizia
Subito dopo il giornale ha approfondito la questione: “Harmanjit Singh ha riferito che stava camminando accanto al trattore che Navneet stava guidando quando quest’ultimo è stato colpito“. Le accuse non finiscono qui, infatti secondo i giornalisti indiani: “la polizia non ha fatto nulla per proteggere la scena del crimine. Le forze dell’ordine hanno passeggiato nell’area macchiata di sangue e non hanno tenuto conto delle richieste dei manifestanti di esaminare l’incidente. Uno dei poliziotti ha detto ai giornalisti di Caravan che gli altri poliziotti erano scappati “per paura”.
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Iniziano i problemi
Nei giorni successivi i giornalisti hanno continuanto a indagare ma non hanno ricevuto alcuna risposta da parte della polizia locale. Il 30 gennaio la polizia ha risposto al giornale su Twitter accusandolo di aver pubblicato informazioni fuorvianti. Inoltre la polizia ha aperto un fascicolo per sedizione nei confronti dei giornalisti. In India la sedizione è un reato molto grave che può portare a una condanna che può variare da tre anni a un ergastolo. Tra gli accusati ci sono due giornalisti del Caravan: Vinod Jose e Anant Nath, oltre che Paresh Nath, proprietario ed editore del gruppo che gestisce la rivista.
Altri accusati e la censura
Ma il dramma non finisce qui. Tra gli accusati per sedizione figurano anche l’importante politico Shashi Tharoor e giornalisti di calibro nazionale. L’accusa che fa più rumore è quella rivolta a Siddharth Vardarajan, editore del sito digitale Wire che ha avuto l’ardire di pubblicare un video nel quale la famiglia di Navreet Singh accusava la polizia dell’uccisione del proprio congiunto. Insomma accusato per aver fatto il proprio lavoro. Il giorno dopo il reporter di Caravan Mandeep Punia è stato arrestato e l’account Twitter del giornale è stato chiuso. La situazione dell’India dovrebbe far preoccupare: infatti nel paese asiatico la polizia sembra un’estensione dell politiche governative piuttosto che un garante della costituzione e delle leggi.
La stampa
Vista la situazione la stampa indiana sembrerebbe compromessa. A denunciare le storture del sistema è Hartosh Singh Bal, redattore politico del Caravan. “Queste nuove azioni legali hanno un obiettivo chiaro: mettere a tacere o indebolire ciò che resta del quarto potere. Se dare notizia può tramutarsi in “sedizione”, presto potrebbe esserci poco giornalismo serio in India”.