Dopo settimane di campagna mediatica contro chi non si è vaccinato, il governo ha varato il nuovo decreto che prevede restrizioni differenziate.
Prevedendo due distinti pass amministrativi che limitano in modo diverso la libertà di accedere a determinati luoghi.
Non è chiaro sulla base di quale evidenza scientifica, dato che oramai tutti hanno accettato il fatto che il vaccino perde di efficacia dopo tre-cinque mesi.
E che quindi, in attesa del completamento di una terza dose (che richiederà mesi di tempo), ad oggi milioni di italiani a suo tempo vaccinati, potenzialmente contagiosi e infettabili al pari dei non vaccinati, potranno comunque avere il super green pass e quanto ne consegue.
Liberi di frequentare luoghi al chiuso o affollati, con evidente pregiudizio per sé e per gli altri.
Il problema della privacy
Le limitazioni differenziate tra vaccinati e non, si concretizzano dunque nel rilascio di due diversi pass amministrativi che giocoforza identificano il dato sensibile della situazione sanitaria individuale.
La foglia di fico del QR code anonimo è caduta: chiunque controlla il green pass può accedere a informazioni che non è autorizzato a trattare.
Il problema di privacy e di discriminazione che si pone è ineludibile; ma, in questo perenne clima di emergenza, nel silenzio generale di chi si adegua passivamente, la tutela dei diritti passa in secondo piano e apre la strada ad un futuro da cui sarà difficile tornare indietro.
Ma cosa cambia con il Super Green Pass, concretamente, aldilà dei proclami? Impedire alla minoranza (meno del 10%) di persone non vaccinate (ma che si sono comunque sottoposte a tampone nelle 48 ore precedenti) di andare al ristorante, in palestra, al cinema teatro, musei, piste da sci permetterà ai vaccinati di farlo senza contagiarsi?
È tollerabile in una democrazia imporre restrizioni differenziate alle persone senza il supporto di evidenze scientifiche?
Ricordiamo sempre che il nostro diritto non limita le persone ma ne vieta determinati comportamenti (ad esempio, un fumatore può accedere a luoghi chiusi a patto che non fumi, non ne è escluso a priori, come accade col green pass che implica una presunzione di contagiosità).
No: Green Pass e soprattutto Super Green Pass hanno un altro, manifesto, obiettivo, e non è la tutela della salute. Solo un espediente che tutela gli esercenti.
Il vero obiettivo del super Green Pass
Ciò che permette il decreto è semplicemente la possibilità che, quando le regioni passeranno nella fascia gialla o arancione, non ci saranno chiusure.
Il super green pass non tutela i vaccinati e i guariti, ma li rende clienti di esercizi commerciali autorizzati a rimanere aperti per loro, anteponendo gli interessi dell’economia a quelli della salute pubblica, facendo leva sulla voglia di normalità delle persone..
È questo l’unico effetto significativo: impedire – sul piano formale – chiusure che altrimenti scatterebbero all’aumento dei contagi.
Riversando il costo – in termini di limitazioni e di violazione della privacy – alla quota minoritaria dei non vaccinati, aldilà di ogni evidenza scientifica e delle garanzie costituzionali, già duramente attaccate con l’obbligo di tampone per poter lavorare.
Salviamo noi stessi, altro che il Natale
Tutto questo, però, non accadrebbe se le persone non lo avallassero, stretti tra la morsa della paura indotta quotidianamente dai media, e dalla superficialità di credere a queste alchimie politiche che promettono sicurezze anche attraverso la colpevolizzazione di chi pone legittimi dubbi.
Forse c’è qualcosa in più che possiamo fare, oltre a lasciare una delega in bianco a chi ci governa; aldilà della tentazione di credere che “tutto andrà bene” solo obbedendo e non mettendo in discussione quando ci viene imposto, a noi e a quelli che non la pensano come noi ma restano cittadini e soggetti di diritto.