venerdì, Marzo 29, 2024

Il coraggio di Pio e Amedeo di dire le parole vietate? No, è privilegio

Durante il corso dell’ultima puntata del loro show in onda su Canale 5, Pio e Amedeo hanno deciso di “smascherare i moralisti a colpi di parole vietate”. Si tratta di coraggio? No, solo di privilegio.

Cosa è successo nell’ultima puntata di Felicissima Sera con Pio e Amedeo?

È andata in onda ieri sera, in prima serata e su Canale 5, l’ultima puntata dello show di Pio e Amadeo, Felicissima Sera. Durante il programma, il duo ha volontariamente e convintamente deciso di pronunciare, non solo parole ma, anche, un intero discorso volto a “smascherare i moralisti a colpi di parole vietate“, tra cui la n-word e la f-word. “Non è la parola il problema ma l’intenzione che c’è dietro”: con questa frase Pio e Amadeo hanno preteso di sapere come ci si sente dall’altra parte; hanno deciso di avere il privilegio di sapere se una parola, al di là dell’intenzione con la quale è stata pronunciata, ferisca o meno. Privilegio è la parola giusta. Andare in onda, in prima serata, e su Canale 5, avendo il coraggio o, meglio, la presunzione di “sfidare le imposizioni” pronunciando tutte quelle parole per il semplice gusto di farlo, non può che derivare da una condizione di privilegio.

Il razzismo al contrario non esiste

“Bisogna poter scherzare su tutto. Mica ti offendi se dico che loro ce l’hanno più grande del tuo. Allora questo è razzismo al contrario“, le parole del duo comico al quale, forse, sfugge qualche anno di storia, discriminazioni, lotte, conquiste e sconfitte. Come spiegato brillantemente (e ironicamente) dal comico Aaamer Rahmar, se Pio e Amedeo avessero voluto fare “razzismo al contrario”, gli sarebbe bastata una macchina del tempo. Sarebbero dovuti andare a ritroso, prima che l’Europa colonizzasse il mondo; convincere i capi di Africa, Asia, Medio Oriente, Centro e Sud America ad invadere e colonizzare l’Europa, occupare le loro terre, esportando i bianchi per farli lavorare in qualche piantagione di riso in Cina. Ovviamente, si sarebbero dovuti ricordare di ergere un sistema a vantaggio delle popolazioni di colore, sul piano politico, economico e sociale, togliendo ai bianchi qualunque possibilità di autodeterminazione. Avrebbero dovuto anche assoggettare i bianchi agli standard delle persone di colore, fino a fargli odiare il colore della loro pelle. Se, dopo centinaia e centinaia di anni di tutto questo, qualcuno di colore fosse salito sullo stesso palco di Felicissima Sera e avesse detto: “Perché i bianchi non sanno ballare?”, quello sarebbe stato razzismo al contrario.

“A che serve il gay pride?”, le parole del duo

Il duo non si è fatto mancare qualche battuta omofoba di cattivo gusto. “Nel 2021 a che serve il gay pride? Ma che senso ha un corteo che deve ostentare il proprio orientamento sessuale? Io che sono eterosessuale dovrei andare per strada ad urlare quello che mi piace?”. Forse, anche in questo caso, Pio e Amadeo non si rendono conto che è proprio grazie a persone come loro se nel 2021 c’è ancora bisogno di lottare e manifestare. C’è ancora, anzi, più che mai, bisogno di tutela, di informazione, di educazione, di sicurezza, di leggi. A dimostrarlo ci sono 64 casi (i dati sono sottostimati) di omotransfobia: in media cinque al mese, uno a settimana, avvenuti durante le limitazioni del lockdown.

Cambiare il linguaggio per cambiare la società

“La lingua non è il problema. Ci stanno educando a pensare che la lingua sia più importante della mente. È sbagliato. Tutto dipende dall’intenzione”, hanno continuato Pio e Amedeo. Ma non c’è bisogno di scomodare John Austin che, con il suo “Come fare cose con le parole”, nel 1962, ha parlato per primo della performatività del linguaggio, per rendersi conto che questo è in grado, oltre che di descrivere, anche di plasmare la realtà. Termini come fr*cio, n*gro, sono slur, cioè “parole vietate”, perché non rappresentano semplicemente degli insulti: sono dei meccanismi di rinforzo di una struttura sociale che produce discriminazione a scopo autoconservativo. In altre parole: l’esistenza stessa di una parola vietata e, di contro, la pressione per bandirla, è una questione di potere più che di linguistica. Non c’è una slur per “eterosessuale”, come non c’è per “bianco” perché sono parole coniate dall’oppressore per definire chi viene oppresso. Continuare a dirle, cari Pio e Amedeo, significa perpetuare un sistema oppressivo. E non fa ridere.

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