venerdì, Aprile 19, 2024

Il 10 luglio 1976 a Seveso si verificò uno dei più gravi disastri ambientali della storia

Il 10 luglio 1976 nella zona di Seveso un incidente industriale provocato dalla fuoriuscita di una enorme quantità di diossina da un’azienda chimica, provocò un grave disastro ambientale

Era il 10 luglio 1976 quando avvenne il disastro ambientale di Seveso, cittadina della Brianza. Erano da poco passate le 12:30 di quel giorno quando alla ICMESA, un grande stabilimento chimico farmaceutico situato al confine tra i comuni di Seveso e Meda, si verificò un’avaria ai sistemi di controllo di un reattore chimico, provocando un innalzamento incontrollato della temperatura all’interno dello stesso reattore che portò alla formazione di TCDD, una pericolosa diossina. Nonostante si fosse evitata l’esplosione dello stesso reattore grazie all’apertura delle valvole di sicurezza, la nube tossica che si era formata in seguito al surriscaldamento dell’impianto si diffuse nell’aria e, trasportata dal vento, raggiunse i comuni di Seveso, Meda, Limbiate, Desio e Cesano Maderno.

L’ICMESA, industria chimica di Meda

I primi sintomi della contaminazione da diossina e le evacuazioni

Pochi giorni dopo l’incidente la popolazione della zona iniziò ad avvertire i primi effetti dell’intossicazione. Oltre all’odore acre dell’aria, ci furono molti casi di infiammazioni agli occhi e quasi 250 persone vennero colpite dalla cloracne, un’eruzione cutanea provocata dal contatto con sostanze tossiche. Gli abitanti delle zone colpite dalla nube vennero informate dell’incidente dell’ICMESA solamente una settimana dopo l’accaduto. In seguito ai numerosi casi di cloracne e alla moria di animali che avvennero nella zona, furono disposte analisi sui terreni che confermarono la presenza di diossina.

Un giornale dell’epoca che racconta i primi segnali dell’intossicazione quando il disastro ambientale non era ancora stato reso noto

A partire dal 24 luglio, in seguito alle ordinanze dei primi cittadini di Seveso e Meda, le aree adiacenti allo stabilimento chimico vennero suddivise in base al livello di contaminazione. La zona A, la più inquinata, che comprendeva alcune aree di Seveso e Meda fu recintata e gli abitanti, più di 700, vennero evacuati. Vennero poi definite altre due aree ricomprese anche negli altri comuni raggiunti dalla nube tossica: la zona B e la zona R, meno inquinate rispetto alla prima, per le quali, venne disposta un’ordinanza che vietava ai residenti la coltivazione di prodotti agricoli e zootecnici e la consumazione degli stessi e raccomandava a donne in gravidanza e bambini l’allontanamento dalla zona contaminata durante la giornata.

Un cartello e il filo spinato vietano l’accesso alla zona A

Le operazioni di bonifica e la nascita del Parco Naturale Bosco delle Querce

A partire dagli anni ottanta, nel corso delle operazioni di bonifica dell’area A furono costruite due vasche impermeabilizzate di cemento armato monitorate 24 ore su 24, nelle quali vennero depositati il terreno superficiale delle aree colpite, le macerie delle abitazioni abbattute e i resti delle piante e di quasi 100.000 animali morti in seguito alla nube tossica oltre agli stessi attrezzi usati nel corso della bonifica.

Operai al lavoro nel corso delle operazioni di bonifica. Tutti gli interventi nelle zone inquinate dalla diossina venivano effettuati da operai muniti di tute e mascherine per evitare contaminazioni

Nel 1983 venne deciso di istituire un parco nella zona A allo scopo di riforestare l’area che era stata maggiormente colpita dal disastro. Le due vasche vennero ricoperte da terreni provenienti da zone non contaminate e vennero piantati migliaia di nuovi alberi. La cura e la manutenzione del parco, chiamato Bosco delle Querce fu affidata all’Azienda Regionale delle Foreste che negli anni successivi fece ulteriori interventi di riforestazione aumentando la flora dell’area.

Il “bosco delle Querce”, nato nella zona maggiormente contaminata

I risarcimenti e gli studi sulla salute dell’uomo

In seguito alle indagini per far luce sull’incidente, Regione Lombardia, intentò una causa contro l‘ICMESA. Dopo una trattativa durata più di un anno, la Givaudan, proprietaria della stessa ICMESA riconobbe un risarcimento di 103 miliardi di vecchie lire dei quali sette miliardi allo stato italiano, 40 miliardi alla Regione Lombardia come risarcimento per la bonifica e i restanti 70 miliardi che sarebbero stati utilizzati per continuare gli interventi di risanamento e sperimentazione nelle zone contaminate.

Cartina che mostra le tre zone inquinate. nella zona A è stato allestito il Bosco delle Querce

Il disastro ambientale che colpì Seveso e i comuni limitrofi fu il primo incidente industriale in Italia e uno dei peggiori della storia. Il periodi americano Time e l’emittente televisiva Cbs hanno valutato il disastro di Seveso rispettivamente al ottavo e dodicesimo posto nella classifica delle peggiori catastrofi ambientali di sempre. Nel corso degli anni sono stati effettuati numerosi studi per conoscere l’incidenza della contaminazione da diossina sulla salute dell’uomo. Il monitoraggio, che continua ancora oggi, non ha mostrato finora un sensibile aumento dei casi di tumore come inizialmente si era temuto. Si è registrato però un aumento di alterazioni ormonali sui bambini nati da madri residente nella zona A, che possono provocare difetti fisici e intellettuali nel corso della crescita.

In seguito al disastro di Seveso l‘Unione Europea, nel 1982, ha approvato una serie di regole contenute nella Direttiva Seveso con lo scopo di prevenire gli incidenti industriali, imponendo agli stati membri di mettere in atto tutte quelle misure necessarie a scongiurare nuove catastrofi ambientali. La Direttiva europea sui siti a rischio, nel corso degli anni è stata continuamente aggiornata, arrivando nel 2012 all’approvazione della Direttiva Seveso III.

Leggi anche: In Italia 6600 impianti sotto controllo

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