Hong Kong il giorno dopo la presa del Parlamento

La presa del Parlamento di Hong Kong da parte dei manifestanti alla fine delle celebrazioni del 22° anniversario dall’indipendenza dal Regno Unito ha modificato tanto l’atteggiamento del governo quanto la posizione della gente scesa in piazza nelle scorse settimane.

Assalto al Parlamento

Verso la mezzanotte di ieri (ora di Hong Kong, le 18 circa in Italia) un gruppo di manifestanti è entrato nell’aula dell’Assemblea Legislativa con l’intenzione di non abbandonarla finché il decreto sulle estradizioni, al momento sospeso, non fosse stato definitivamente ritirato dall’esecutivo e la Presidente, Carrie Lam, non si fosse dimessa. Dopo aver dato l’ultimatum agli occupanti che avrebbero dovuto pacificamente abbandonare l’edificio entro le 24:00, le forze dell’ordine, in numero crescente nelle ultime ore, si sono lentamente avvicinate all’ingresso del Parlamento, forzando, con ripetute ma brevi cariche il cordone di manifestanti a “difesa” dello stesso, fino alla definitiva irruzione. Durante le operazioni più di 70 manifestanti sono stati feriti, tra cui un quindicenne. Due di loro hanno subito lesioni gravi, ma nessuno, al momento, sembrerebbe essere in pericolo di vita.

Le reazioni dopo l’attacco

L’azione dei manifestanti entrati, nell’edificio vestiti con gilet gialli e portando con sé degli elmetti e degli ombrelli dello stesso colore per difendersi dal lancio di lacrimogeni, ha scatenato subito, oltre alla risposta delle forze dell’ordine che ha in breve tempo ristabilito l’ordine, anche numerosi e diversi commenti tra quelli che hanno aderito alle manifestazioni dei giorni scorsi. Alcuni gruppi hanno condannato la presa del palazzo governativo da parte di una minoranza di manifestanti, vedendo in questo un rischio di strumentalizzazione da parte dei media e della propaganda governativa che, come spesso accade in questi casi, non avrà difficoltà a condannare i quasi due milioni di persone scese in strada in questi giorni assimilandoli ad uno sparuto numero di “violenti” che si sono introdotti nel Parlamento. Altri, pur criticando il gesto, hanno evitato di sottolinearne l’errore sul piano politico di queste azioni, richiamando chi vi ha partecipato ad una maggiore cautela e prudenza nel loro esclusivo interesse.

Cambio di rotta di Carrie Lam

Aver forzato la mano ed aver rotto quella “tregua armata” tra le due parti, con operazioni progressivamente più dirette e dure ha consentito al governo di Hong Kong (sollecitato ed appoggiato in questo da quello cinese) a ritrattare quanto dichiarato ieri e ha cambiare immediatamente atteggiamento nei confronti della protesta. Carrie Lam, che appena un giorno fa si era scusata con la popolazione per la scarsa attenzione prestata alle richieste dei manifestanti e che sembrava essere pronta ad assumere una posizione più conciliante e di maggiore apertura nei confronti dei contestatori, ha subito invertito la direzione delle sue dichiarazioni che sono state, come era facile prevedere, di dura condanna degli avvenimenti delle ultime ore.

Carrie Lam

Il governo di Hong Kong e la Cina

Lam è la rappresentante del governo di Xi Jinping nella città-Stato, come previsto dagli accordi firmati all’atto di dichiarazione di indipendenza di Hong Kong. Secondo quanto stabilito dal trattato “One country two systems”, mentre il Parlamento è (parzialmente) eletto dalla popolazione, il Capo del Governo viene direttamente indicato da Pechino. Per questo motivo le dimissioni richieste dai manifestanti non potevano essere presentate dall’interessata, spettando esclusivamente alle autorità cinesi decidere di sollevare il loro rappresentante nello Stato semi-indipendente, dal proprio incarico. La posizione politica della Lam aveva perso nelle ultime settimane la propria autorità e i progressivi disordini in piazza avrebbero quasi sicuramente portato la Cina a chiederne le dimissioni.

Le decisioni e le incertezze di Xi Jinping

Xi Jinping non avrebbe certo rimosso Lam dal suo incarico per non dimostrarsi arrendevole e disposto a cedere alle richieste della piazza ma, probabilmente avrebbe proceduto in tal senso non appena la tensione nelle strade fosse calata. Il precipitare degli eventi nelle ultime settimane ed in particolar modo nelle ultime ora ha, invece, favorito le prese di posizione dell’establishment, tanto che la Presidente di Hong Kong è passata in poco più di una giornata dalle scuse presentate al paese alla condanna delle iniziative portate avanti dai manifestanti che ripetutamente hanno violato la legge e le indicazioni delle forze dell’ordine.

Xi Jinping

Pieno supporto di Pechino?

Anche la Cina ha colto l’occasione che l’irruzione nel Parlamento di ieri le ha offerto per manifestare solidarietà ed appoggio a Lam chiedendo che i responsabili siano adeguatamente processati e puniti. L’uso della forza ha così indirettamente legittimato tanto la repressione di Hong Kong quanto l’ingerenza, adesso esplicita, del governo cinese sulla città-Stato. Il governo di Pechino, tuttavia, anche in questo caso, se da un lato condanna i manifestanti, dall’altro sembra fornire “pieno supporto” all’azione del governo di Hong Kong solo a parole. Lam resta un’”osservata speciale” ed il suo futuro politico verrà valutato e deciso da Xi Jinping e dal suo entourage solo più avanti.

Hong Kong e Tien An Men

Claudia Mo, giornalista ed ex-deputata del partito pro-democrazia, ci tiene ad evidenziare come ad Hong Kong “un giorno sia un tempo lunghissimo” ed i recenti avvenimenti sembrano darle ragione. L’incertezza del momento, legata probabilmente anche alla particolarità del sistema di governo del piccolo Stato, rende difficile fare delle previsioni su quanto accadrà nel più immediato futuro. Alcuni sostengono che Hong Kong rappresenterà per la Cina una nuova Tien An Men e riesce difficile stabilire, al momento, se questo paragone si riferisca alla sollevazione della popolazione o alla repressione delle manifestazioni. Ritrattate le scuse delle scorse ore, Lam promette la “linea dura” contro i violenti e promette che le decisioni prese in precedenza dal governo saranno portate avanti con ancor più forte determinazione.

Tregua armata

Nei prossimi giorni non si prevedono azioni da parte dei manifestanti che comunque portano avanti la discussione al loro interno, ma la “teoria della violenza marginale” a cui i manifestanti sembravano fino a poche ore fa voler far riferimento come strategia operativa porta a non escludere nuove eclatanti azioni come già avvenuto nelle scorse ore. Il Parlamento, intanto resterà chiuso per una settimana, per consentire ulteriori controlli al suo interno e per renderlo nuovamente utilizzabile per le sedute dell’Assemblea. Si direbbe che sia tornata una certa quiete, forzata, dopo la tempesta. Si spera che nei prossimi giorni, questa tregua “armata” consigli moderazione, disponibilità all’ascolto e prudenza alle varie parti coinvolte.        

Vittorio Musca
Vittorio Musca
Sono Vittorio Musca, ho 39, sono originario di Torchiarolo, in provincia di Brindisi e vivo a Bologna anche se negli ultimi anni per studio o lavoro ho vissuto in Norvegia, Polonia, Repubblica Ceca e Germania. Ho conseguito due lauree. La prima in Scienze Politiche e la seconda in Lettere. Parlo inglese, italiano, spagnolo, tedesco e polacco. Mi piace leggere, prevalentemente classici della letteratura e della filosofia o libri di argomento storico, suono il clarinetto e provo, da autodidatta ad imparare a suonare il piano. Mi piacciono il cinema ed il teatro (seguo due laboratori a Bologna). Ho pubblicato un libro di poesie, "La vergogna dei muscoli, il cuore" e ho nel cassetto un paio di testi teatrali e le bozze di altri progetti letterari. Amo viaggiare e dopo aver esplorato quasi tutta l'Europa vorrei presto partire per l'Africa ed il Sud Est asiatico, non appena sarà concluso l'anno scolastico, essendo al momento impegnato come insegnante. I miei interessi sono vari (dalla letteratura alla politica, dalla società al cinema, dalla scuola all'economia. e spero di riuscire a dedicarmi a ciascuno di essi durante la mia collaborazione con peridicodaily.

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