Ragazzi di vita
Quando avevo sfogliato le prime pagine del capolavoro di Pasolini, Ragazzi di vita, tanti anni fa, ho pensato che fosse anacronistico, sorpassato, e pure in “dialetto” romanesco. Troppo difficile. L’ho “richiuso” per preferire, ai tempi, letture più attuali. Andavano di moda Hesse e Kundera, letture più introspettive.
In questi giorni il Piccolo teatro Strehler di Milano ripropone in chiave teatrale questa narrazione di Pasolini che di borgate romane se ne intendeva. Va infatti in scena, fino al 27 gennaio, quindi affrettatevi, in quello che è il teatro per eccellenza di Milano, questo affresco di vite comuni di zone degradate, come ancora purtroppo ci sono a Roma e in tante altre città e paesi del mondo. Ragazzi di vita, facendo un parallelismo può ricordare in chiave post guerra, i cafoni di Fontamara di Silone. Il protagonista, voce narrante, Pasolini o “semplicemente” Aristofane, il narratore, è forse non a caso Lino Guanciale, di Avezzano a pochi km da Pescina dei Marsi, paese originario di Silone e da cui lo scrittore abruzzese prese spunto per il suo famoso romanzo.

Spettacolo
Tornando al messaggio che è poi quello che mi interessa quando approccio uno spettacolo teatrale, Ragazzi di vita diventa testimonianza di persone che lottano con la quotidianità, come oggi, purtroppo. L’analogia tra bianchi e altri che cercano un posto, che cercano un’identità è la stessa. Il problema si riduce a ricchi e poveri, la semplificazione è visibile a chi osserva con attenzione. La scelta è quella della coralità, 19 attori che si muovono freneticamente sul palco. Scelta necessaria e molto generosa da parte di un famoso attore quale Guanciale, che si avvale anche di un’ottima forma fisica. Notevole la scena in cui lui, solleva il protagonista del romanzo, Riccetto, e prosegue con la sua narrazione, come se stesse sostenendo una piuma. Lo spettacolo è diviso in capitoli, vista la complessità del romanzo, un po’ come fa Von Trier in Dogville, al cinema, nel 2004. Sono storie di amara quotidianità di giovani che entrano in scena in mutande bianche, nudi e uguali davanti al mondo pronti a tuffarsi nel loro fiume, che sul palco è una piscina, senza firme, e senza orpelli, per salvare una rondine. Ma poi tutto cambierà. Il boom economico contaminerà i bisogni, la necessità di rivalsa dei più poveri, anche facendoli inciampare nell’illegalità.
Conclusioni
La domanda è: “Cosa porta a essere un ragazzo di vita?” Si aprirebbe un dibattito infinito. “La fame? L’emarginazione? L’esigenza di una riappropriazione di un’individualità istintiva e necessaria? Il branco e l’attaccamento alle proprie radici?” Difficile rispondere. Pasolini in quel mondo era entrato e poi non ne è più uscito. E’ ancora un mistero. Notevole e perfetta l’interpretazione di Guanciale, vestito con i pantaloni “eleganti” e un po’ larghi dell’epoca, ma senza creare troppo distanza con i protagonisti. Si adegua ai ritmi dei giovani “chiassosi” e vivaci. Giusta e coraggiosa la ripresa del romanesco, come aveva fatto lo stesso Pasolini, che ricordiamo non era romano. Il problema non sono gli italiani, i romani, i lombardi, i siciliani, i neri etc. Il dramma è il degrado. Conclusioni? Lasciamo la storia parlare.
Lo spettacolo si avvale della regia di Massimo Popolizio e della drammaturgia di Emauele Trevi. Le scene sono di Marco Rossi , i costumi di Gianluca Sbicca le luci di Luigi Biondi. La produzione è del Teatro di Roma-teatro Nazionale.
Per informazioni: www.piccoloteatro.org