Di Greta Thunberg mi sento di dire due cose. La prima è che condivido le sue preoccupazioni relative all’ambiente e credo che le esprima in perfetta buona fede; la seconda: che i governi di tutto il mondo, cooptandola negli eventi ufficiali, l’hanno trasformata da potenziale elemento di denuncia a personaggio di folklore. Con uno scopo ben preciso.
Da persona a personaggio
Folklore. Perché sarebbe ipocrita non riconoscere che esiste una disparità tecnica e politica con i suoi interlocutori tale da non renderla un interlocutore al loro livello. E persino l’inopportunità di sovrapporre protesta e progettazione.
Cosa ci fa allora Greta su quel palco se non colmare l’inaccettabile gap etico che esiste tra i cittadini di tutto il mondo e chi li rappresenta?
Certificare pubblicamente il presunto recepimento delle istanze da lei sollevate? Permettere loro di fingere che l’obiettivo comune sia proprio la salvaguardia dell’ambiente, e non trovare l’ennesimo compromesso sacrificandolo sull’altare della produttività?
Essa stessa è stata trasformata da persona in personaggio: addirittura, i media – per tenere alto il livello di attenzione – hanno già inventanto l’esistenza di “un’altra Greta”, identificata nell’attivista americana Alexandria Villasenor.
Il tema dello scontro generazionale
Il personaggio Greta è protagonista di una narrazione mediatica che ricostruisce un disegno ben preciso, di cui sono individuabili tre elementi.
Il primo individua il target di coinvolgimento: è quello dello scontro generazionale: gli adulti che distruggono il futuro e i giovani che ne rivendicano la proprietà.
Attraverso Greta milioni di giovani si sono mobilitati nelle piazze di tutta Europa, contribuendo alle scorse elezioni europee all’affermazione del partito dei Verdi, oggi significativamente rappresentati nei parlamenti di Germania e Francia.
All’apparenza, tutto questo potrebbe apparire come un risveglio delle coscienze, una presa di posizione nella quale le generazioni più giovani riescono a riconoscersi. Un fatto positivo.
Se però riflettiamo un momento, ci accorgiamo che che questi stessi giovani, penalizzati come poche altre generazioni della storia recente sul piano del lavoro e del welfare, non sono mai scesi in piazza così massicciamente per rivendicare i loro diritti.
Non si sono mai proposti di incidere su altri temi che li toccano, ad esempio favorendo un ritorno di quella Sinistra che tradizionalmente persegue il fine della giustizia sociale e di una redristibuzione più equa delle risorse.
Il tema ambientale è importantissimo, ci mancherebbe; ma è anche talmente vasto da poter distogliere l’attenzione da altre questioni. E anche da essere gestito in modo tale da non mettere in discussione troppo profondamente la nostra società.
Il tema dell’elusione delle responsabilità e della semplificazione del tema ambientale
Il secondo tema di questa narrazione è quello di consolidare un senso di colpa collettivo che permette di annacquare le responsabilità dei principali colpevoli della catastrofe climatica, ovvero tutto il sistema produttivo che consuma le risorse del pianeta per ricavarne materie prime, riversando gli scarti nell’ambiente.
Il risultato è quello di definire una visione semplificata del problema identificandolo nel riscaldamento globale provocato dall’emissione di CO2, e non nello sfruttamento delle risorse naturali che è alla base della produzione industriale, e ancor prima del capitalismo.
L’obiettivo del messaggio di Greta: cambiare tutto affinchè nulla cambi.
L’obiettivo del messaggio del personaggio-Greta (forse non della persona), date le premesse è quello di una ricomposizione delle parti che procede attraverso un un patto trans-generazionale finalizzato alla riduzione delle emissioni, lasciando inalterata la struttura della nostra società.
Peccato che un ambientalismo che non combatte il capitalismo sia solo un esercizio di stile. Una politica da salotti buoni, di quelle che si fanno dopo un buon pranzo, spinti dalla noia, dai sensi di colpa e magari anche dalla necessità di dare un senso alle giornate.
Ecco cosa ci fa Greta a Milano. Permette a chi sta cercando di salvare chi sta distruggendo la terra di fingere di combatterlo.
Il tema ambientale come pretesto
Ci sono “tantissime” Greta che protestano contro qualcosa, ma la visibilità (che è gestita in modo capillare da chi detiene le risorse e quindi il potere) è riservata solo a “quelle” che possono essere utili alla perpetuazione del sistema socio economico, anche – soprattutto – quando lo contestano.
Per questo diffido dei personaggi che emergono improvvisamente dall’anonimato: non necessariamente di loro, ma dell’uso che ne possono fare coloro che li trasformano in fenomeni mediatici.
D’altronde, il mondo di oggi non permette soluzioni alternative. Se Greta (o chi per lei) non avesse accettato di giocare questo gioco, sarebbe ancora di fronte alla scuola a mettere in scena la sua sterile protesta di respiro mondiale di fronte a poche decine di persone. E al suo posto, un’altra bambina, denuncerebbe tautologicamente dal palco del G20 i guasti della nostra società.
Quando ci arrabbiamo – o quando qualcuno lo fa per noi – ci sembra di aver dato un contributo alla Causa, e possiamo rimettere in moto le nostre auto a gasolio o acquistare l’ennesimo superfluo smartphone sollevati dal senso di colpa di una responsabilità che, come tutte, è per prima cosa individuale.