In Birmania la giunta militare prosegue la repressione senza sosta. Dopo tre mesi di proteste dal golpe in Myanmar del 1° febbraio il bilancio delle vittime supera quota 800. Gli USA hanno deciso di imporre nuove sanzioni alle persone legate ai militari birmani. All’ONU invece non passa la risoluzione che chiedeva l’embargo sulle armi.
Golpe in Myanmar: sale il bilancio delle vittime?
L’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici (Aapp) ha riferito che il bilancio dei morti accertati in Myanmar dall’inizio delle proteste anti golpe ha raggiunto ieri quota 802. Secondo l’organizzazione non profit per la difesa dei diritti umani basata in Thailandia, nella giornata di lunedì sono state registrate altre sei vittime. Si tratta di persone che erano state uccise nei giorni scorsi, ma che non erano state ancora conteggiate. Intanto il Dipartimento del Tesoro americano ha emesso nuove sanzioni nei confronti di 16 persone legate al regime militare birmano che sta reprimendo qualsiasi forma di democrazia nel Paese. Tutti i beni e gli interessi delle persone sottoposte a sanzioni che si trovano negli USA sono bloccati. Inoltre è proibito fornire qualsiasi forma di aiuto e di assistenza.
Birmania dimentica: all’ONU non passa la risoluzione sull’embargo delle armi
A parte le sanzioni imposte da Washington sembra che il Myanmar sia dimenticato. Nei giorni scorsi l’ONU aveva deciso di valutare la richiesta di embargo sulle armi. Ma i paesi asiatici non vogliono l’embargo sulle armi. All’ONU infatti non è passata la risoluzione per impedire la vendita di armi ai generali golpisti birmani. È stata rinviata la riunione in programma oggi dell’assemblea generale delle Nazioni Unite per una risoluzione non vincolante che avrebbe sospeso con effetto immediato qualsiasi trasferimento di armi alla Birmania.
Gli autori del testo, secondo fonti diplomatiche, “non hanno avuto il sostegno che si aspettavano” per garantire un voto a larga maggioranza nell’Assemblea che comprende 193 paesi membri. Il testo nasce da un’iniziativa del Liechtenstein, sostenuta da Unione Europea, Regno Unito e USA. Un totale di 48 paesi provenienti da Europa, America e Africa, ma solo uno in rappresentanza dell’Asia – la Corea del Sud – ha sostenuto la bozza di risoluzione.