Il numero di calciatori stranieri nei campionati dei big-5 è cresciuto notevolmente negli ultimi trent’anni a causa principalmente del fenomeno generale dell’immigrazione e della sentenza Bosman; l’aumento massimo è avvenuto proprio tra il 1995/96 (anno della fine del limite del numero di calciatori stranieri in una squadra in seguito appunto al caso Bosman) e il 2000/01 in cui la percentuale di stranieri passa da 18.6%35.6%.

La distribuzione di questo tipo di giocatori è notevolmente sbilanciata in Europa e Nord America, zone in cui troviamo la concentrazione più alta di campionati calcistici di livello mentre in generale rappresentano il 26.6% del totale.

Le percentuali relativamente basse di stranieri presenti in Asia è dovuta in parte alle rigide restrizioni introdotte nel campo dei trasferimenti che incentivano la formazione di giocatori nazionali attraverso le scuole calcio prediligendo appunto i prodotti del vivaio; discorso diverso vale per l’America Latina in cui vige piuttosto un’ottica di compravendita strettamente economica: il fulcro dei trasferimenti è il guadagno quindi sono frequenti le vendite di stranieri e nazionali a cifre importanti usate per fare altri affari.

In questo modo è facile per i giocatori sudamericani mettersi in mostra per sperare di andare a giocare in campionati storicamente più blasonati.

In base al ruolo i calciatori stranieri più richiesti sono gli attaccanti (secondo un ragionamento meramente di profitto economico) seguiti dai centrocampisti, difensori e portieri; in generale il loro trasferimento avviene dopo un’importante gavetta nel paese d’origine, per questo l’età media è di gran lunga maggiore rispetto a quella dei loro omologhi nazionali: soltanto il 13.2% degli Under 21 sono stranieri mentre il 33.8% sono Over 28.

Questo fenomeno ha preso piede in tutto il mondo calcistico ma in maniera differente a seconda della cultura e tradizione del posto. In America Latina, patria del gioco del calcio e dei più grandi campioni che ne fanno parte, l’esportazione prevale sull’importazione: 6 stati su 11 presentano una percentuale di stranieri inferiore al 10% e al gradino più basso (o più alto a seconda del punto di vista) di questa speciale classifica c’è il Brasile, patria del fùtbol, a quota 6,1%.

In Sud America la mentalità che governa il calcio è l’autoproduzione di talenti in squadre di formazione e la loro conseguente vendita all’estero per la sussistenza economica; l’eccezione è rappresentata dal Messico che, forte di un potere economico notevole rispetto agli altri paesi, compie il percorso inverso preferendo investire direttamente sulla qualità certificata piuttosto che crescere talenti. Ciò spiega la grande percentuale di stranieri presenti in questa nazione (34.1%).

L’andamento generale della differenza di età tra stranieri e nazionali avviene anche in questa parte di mondo e qui incarna il suo culmine con uno scarto di più di tre anni (una media di 28.5 per i primi contro 25.3 per i secondi) mentre rispetto ai ruoli in campo si evidenzia relativa omogeneità con una media tra 10.9% e 19.1%.

Situazione quasi opposta in Asia in cui avviene una maggiore importazione di calciatori provenienti soprattutto dall’Europa: in dieci paesi su dodici questa quota supera il 10% toccando addirittura il 36.6% nel Qatar, paese tanto ricco quanto oculato nella formazione dei giovani. Anche in questo caso l’età media degli stranieri è maggiore di quella dei nazionali (28.5 contro 26.6) mentre il settore di importazione più richiesto è di gran lunga quello degli attaccanti.

In Europa la diversità dei campionati porta alla diversificazione massima del panorama degli stranieri: in generale si nota una concentrazione alta e superiore al 50% nella metà dei paesi analizzati mentre Spagna, Olanda e Francia presentano una percentuale relativamente bassa a causa del maggior impiego di scuole di formazione con personale qualificato.

All’ultimo posto l’Ucraina presenta comunque un livello di stranieri più alto che in altre parti del mondo ma limitato dal conflitto con la Russia degli ultimi anni.

Dalla classifica per ruolo si evince che in Europa più della metà degli attaccanti dei maggiori club sono stranieri; un altro dato in controtendenza è la differenza tra le medie di età delle due tipologie di giocatori che in questo caso è inferiore all’anno.

Per quanto riguarda la nostra Serie A, la squadra che ha utilizzato di più i calciatori stranieri è stata il Napoli con l’82.1% di minutaggio seguita a ruota dalle due romane, chiude la classifica la Fiorentina con il 61% di minuti per gli extra-territoriali. Da segnalare l’assenza delle due squadre milanesi dalle prime 100 squadre di questa speciale classifica nonostante abbiano rose composte per la maggior parte da questo tipo di giocatori.

(fonte: http://calciostatistiche.typepad.com/calciostatistiche/2017/10/serie-a-è-il-napoli-la-squadra-che-impiega-per-più-tempo-gli-stranieri.html#more) 

Anche se meno marcata, anche l’MLS presenta una diversità strutturale all’interno del meccanismo di trasferimenti: più della metà dei giocatori sono stranieri e la distribuzione tra le varie squadre è relativamente omogenea, solo tre contano meno di dieci tesserati non americani.

Ciò che risalta è la non omogenea distribuzione degli stranieri per ruolo: la grande tradizione della formazione di portieri in questo campionato porta ad un minimo di importazione per questa posizione (15%) mentre il massimo si registra come sempre tra gli attaccanti (60.9%).

Per quanto riguarda l’età media, anche in questo caso il divario è minimo con appena tredici mesi tra la media nazionale e quella extraterritoriale.

La posizione privilegiata dei calciatori stranieri si è indebolita a causa della liberalizzazione dei trasferimenti dovuta alla sentenza Bosman del 1995, inoltre la maggior parte delle grandi squadre del passato ha basato la propria forza su pilasti nazionali: basti pensare al Milan di Maldini, all’Ajax di Cruijff o al Manchester United di Giggs. Innesti stranieri erano visti come rinforzi non necessari e per questo utilizzati solo dai top club ma oggi, con l’aumento generale dei costi del calcio, vengono usati sempre con maggior frequenza come tornaconto economico nelle trattative.

Un cambiamento radicale di mentalità e un ritorno ai veri valori dello sport riporterebbe al calcio la passione e la scintilla che hanno guidato i campioni del passato nelle loro imprese.