venerdì, Marzo 29, 2024

Genocidio del Ruanda: 27 anni fa l’inizio della carneficina

Il 7 aprile 1994 aveva inizio il genocidio del Ruanda. In cento giorni, gli estremisti Hutu uccisero quasi un milione di cittadini di etnia Tutsi. Nella totale indifferenza delle potenze occidentali, i gruppi armati ruandesi riuscirono ad armarsi fino ai denti e a perpetrare uno dei più gravi massacri del 20° secolo.

Genocidio del Ruanda: cosa avvenne il 7 aprile di 27 anni fa?

Il 7 aprile 1994 gruppi di estremisti Hutu diedero inizio al genocidio del Ruanda. Il giorno precedente un missile aveva colpito l’aereo sul quale viaggiava presidente Habyarimana, e il suo omologo burundese Ntaryamira, entrambi di ritorno da un incontro politico in Tanzania. Ancora oggi non è noto di chi sia la responsabilità dell’abbattimento dell’aereo. A partire dal 7 aprile ebbe inizio la terribile mattanza contro l’etnia Tutsi e gli Hutu moderati. Miliziani appartenenti all’Hutu Power, con la complicità di membri del governo e la collaborazione di gruppi filo-governativi radicali misero in pratica il progetto di annientamento della minoranza Tutsi. Un genocidio pianificato fin dagli anni sessanta, quando gruppi estremisti iniziarono una lotta contro le minoranza Tutsi, rappresentata a livello politico dall’FPR (Fronte Repubblicano Ruandese)

L’Hutu Power, con la collaborazione dei membri Interahamwe, iniziò ad istituire posti di blocco stradali, durante i quali venivano controllati i documenti per verificare l’etnia dei viaggiatori. Una volta identificati, i Tutsi venivano uccisi a colpi di arma da fuoco, a bastonate e a colpi di machete.

Dai posti di blocco alle esecuzioni di massa

Fin dai primi giorni della mattanza gli estremisti iniziarono a irrompere nelle case dei Tutsi, massacrando uomini, donne e bambini che avevano l’unica colpa di far parte di una minoranza che per anni aveva tenuto le redini del paese. Le esecuzioni casa per casa continuarono per quasi quattro mesi. Molte famiglie di perseguitati dovettero pagare ingenti somme di denaro a famiglie Hutu che davano loro la possibilità di nascondersi. Non mancarono episodi di violenza sessuale contro donne e adolescenti. Miliziani Hutu e soldati dell’esercito, spesso sottoponevano le vittime a innumerevoli violenze prima di ucciderle. Centinaia di migliaia di profughi sfuggiti alla carneficina si riversarono nei campi di accoglienza ugandesi.

L’Onu e la Comunità internazionale non intervennero

Fin dal 1992 le Nazioni Unite erano presenti in Ruanda con un contingente di Caschi Blu. A partire dal 1993 gli estremisti Hutu iniziarono ad acquistare armi e materiale per preparare lo sterminio. Nonostante il comando della missione di pace abbia più volte avvisato il Palazzo di Vetro su ciò che stava accadendo, i funzionari Onu non intervennero mai. Alle richieste di intervenire efficacemente per contrastare la corsa alle armi, il futuro segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, rispose sempre negativamente. I Caschi Blu non furono mai autorizzati a sequestrare armi e materiale bellico detenuto dagli estremisti Hutu. Era la prima brutta figura di un’organizzazione internazionale nata con lo scopo di evitare un nuovo olocausto. Un’organizzazione troppo burocratica, legata ai singoli stati e guidata da persone interessate solamente ai propri interessi e alla carriera.

Le pesanti responsabilità dell’Onu nel genocidio del Ruanda

Se l’Onu fosse intervenuto per fermare la corsa alle armi degli estremisti Hutu, il genocidio del Ruanda non sarebbe avvenuto. Le Nazioni Unite preferirono nascondersi dietro regole di ingaggio e passaggi burocratici piuttosto che intervenire efficacemente nella questione. Come avvenuto alla vigilia del secondo conflitto mondiale, gli interessi dei singoli stati prevalsero sulla morale. Il mancato intervento in Ruanda dimostrò la scarsa attenzione dell’Onu verso i conflitti che interessavano gli stati del Terzo Mondo.

L’Onu si ritira dal Ruanda

La totale indifferenza delle Nazioni Unite verso il genocidio diventò ancora più palese dopo pochi giorni dall’inizio della carnefina. Nonostanze l’acquirsi delle violenze in tutto il Ruanda, il Palazzo di Vetro decise infatti il ritiro del contingente di pace. I pochi Caschi Blu rimasti nel paese dovettero assistere impotenti al genocidio. Il loro comandante, il canadese Romeo Dallaire, continuava a fare quello che stava facendo fin dal settembre 1993:chiedere rinforzi per combattere gli estremisti. La risposta di Kofi Annan e degli altri funzionari Onu fu la totale indefferenza verso ciò che stava accadendo.

La resistenza Tutsi pone fine al genocidio

A partire da giugno migliaia di Tutsi sfuggiti alla carneficina si unirono all’esercito fpr, comandato da Paul Kagame. Dopo aspri combattimenti, nel luglio 1994, il Fpr riusci a sconfiggere le forze governative. Negli anni successivi i vari governi a maggioranza Tutsi cercarono in ogni modo di rendere giustizia alle vittime. Molti comandanti dell’esercito e decine di appartenenti ai gruppi responsabili del genocidio vennero arrestati e processati. Questa caccia all’uomo in alcuni casi fu vista come una persecuzione. Centinaia di migliaia di Hutu decisero di fuggire per evitare rappresaglie. La maggior parte di loro si rifugiò nei campi profughi di Burundi, Zaire, Tanzania e Uganda.

Il genocidio del Ruanda fu il più grave sterminio etnico del dopoguerra. Quasi un milione di persone furono sterminate senza che i paesi occidentali e l’Onu intervenissero per evitare la carneficina. Quando le violenze cessarono, il mondo rimase sconcertato dall’elevato numero di vittime di un’operazione di pulizia etnica di vaste proporzioni che provocò lo sterminio di intere generazioni.


Pesanti responsabilità francesi nel genocidio del Ruanda


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