giovedì, Marzo 28, 2024

Fast fashion: dove va a finire la moda veloce?

Ne abbiamo parlato anche sulle nostre pagine: la fast fashion, la cosiddetta moda veloce, è un trend degli ultimi anni. Ma è davvero così sostenibile?

La fast fashion è davvero sostenibile?

Per iniziare, possiamo fare un breve riassunto di cosa si intende per fast fashion. Il termine è nato per indicare gli abiti che passano dalle passerelle e influenzano rapidamente la moda. L’idea è di creare sempre nuove linee in maniera rapida ed economica, consentendo così ai consumatori di acquistarli a basso prezzo. Molti grandi rivenditori ne hanno approfittato: H&M, Zara, Primark, giusto per citare un paio di nomi. Eppure, l’impatto ambientale di questo trend è disastroso: vediamo perché.


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Le dune di abiti in Cile

Ebbene sì, dune costituite da abiti. Siamo nel deserto di Atacama, in Cile, e montagne di vestiti inutilizzati provenienti proprio dalla fast fashion continuano ad accatastarsi gli uni sugli altri. Appare chiaro che non tutti i pezzi delle collezioni verranno sempre venduti: per di più, gli abiti sono pieni di tossine e coloranti, che non riescono a biodegradarsi nell’ambiente. Il risultato sono montagne di tessuti che non si sa come smaltire.

Responsabilità di tutti e di nessuno

La stima di AlJazeera è che siano 59.000 le tonnellate di abiti che rimangono invenduti negli Stati Uniti e in Europa. Finiscono dunque nel porto di Iquique, nella zona franca dell’Alto Hospicio (nord del Cile): pronti ad essere distribuiti in America Latina, solo 20.000 tonnellate entrano. Il resto, invenduto o non contrabbandato, rimane qui, nella zona franca: e sembra che ogni responsabilità venga a decadere, ivi compresa quella di smaltirli.

Vestiti indesiderati

Sappiamo che gli abiti possono impiegare centinaia di anni per biodegradarsi, e spesso neppure del tutto. Il New York Post riferisce che le discariche municipali non possono accettarli a causa dei prodotti chimici in essi contenuti: la conclusione è che 39.000 tonnellate di abiti finiscono ogni anno nel deserto di Atacama. Formando le dune di cui sopra.

Il contributo di EcoFibra

L’azienda EcoFibra è nata da un’idea di Franklin Zepeda, nel tentativo di alleviare questo disastro ambientale. La sua azienda, infatti, produce pannelli isolanti utilizzando proprio gli indumenti di scarto. “Volevo smettere di essere il problema e iniziare ad essere la soluzione” ha spiegato Zepeda, a capo di EcoFibra dalla sua creazione nel 2018.

Il rapporto delle Nazioni Unite

Non tutti conoscono la vera entità dei danni creati dalla fast fashion. Un rapporto delle Nazioni Unite afferma che la moda veloce impiega una notevole quantità di acqua, circa 7.500 litri per un paio di jeans: l’equivalente che una persona può bere in sette anni. In totale, quindi, l’industria della moda consuma circa 93 miliardi di mq di acqua, sufficienti a dissetare 5 milioni di persone.

La seconda industria più inquinante al mondo

Oltre a questo, le Nazioni Unite sottolineano un altro aspetto. “Quando pensiamo alle industrie che stanno avendo un effetto dannoso sull’ambiente, potrebbero venire in mente la produzione, l’energia, i trasporti e persino la produzione alimentare. Ma l’industria della moda è ampiamente ritenuta la seconda industria più inquinante al mondo” si legge nel rapporto. Non ultimo, si stima che mezzo milione di tonnellate di microfibra finisca negli oceani ogni anno, parte per via della fast fashion e parte attraverso la lavatrice. Si tratta dell’equivalente di 3 milioni di barili di petrolio.

Un danno per l’ambiente

Naturalmente poi c’è la questione climatica. La produzione di abbigliamento rappresenta dall’8 al 10% delle emissioni mondiali di carbonio ogni anno, superiori a tutti i voli internazionali e alle spedizioni marittime messe insieme, come riferito dalle Nazioni Unite e da Insider. Inoltre, spesso le fabbriche scaricano sostanze chimiche residuo della produzione in corsi d’acqua e fiumi locali. Questo problema si riscontra maggiormente in posti come il Bangladesh e l’Indonesia, notoriamente centri di produzione tessile a basso costo.

Corsi d’acqua contaminati

“Stiamo commettendo idrocidi” commenta amaramente Sunita Narain, direttore generale del Centro per la Scienza e l’Ambiente in India. “Stiamo deliberatamente uccidendo i nostri fiumi”. Un documentario del 2017 su questo argomento ha rivelato che le concerie stavano scaricando cromo tossico nell’approvvigionamento idrico di Kanpur, in India: la sostanza chimica è finita nel latte delle mucche e nei prodotti agricoli.

Sostanze impossibili da degradare

Il punto dunque è questo: gli abiti invenduti generalmente vengono bruciati, sepolti o trasportati in camion in Cile. In ognuno di questi casi non svaniscono mai completamente: le tossine che contengono vengono rilasciate nell’aria, nei canali d’acqua sotterranei, come spiega ancora AlJazeera. E non parliamo delle eventuali paillettes di cui possono essere decorati, o degli stessi colori dei tessuti. Tutto questo impedisce agli indumenti di biodegradarsi del tutto, impattando nell’ambiente in un modo o nell’altro.

Consumismo in aumento

Come se non bastasse questo, il consumismo continua ad aumentare. Secondo Insider, il consumatore medio ha acquistato il 60% in più di abiti nel 2014 rispetto al 2000. A questo si aggiunge il raddoppiare della produzione di abbigliamento tra il 2004 e il 2009, come rilevato dalla Fondazione Ellen McArthur. “Abbiamo bisogno di un modello che non comprometta i valori etici, sociali e ambientali e coinvolga i clienti, piuttosto che incoraggiarli ad abbuffarsi di tendenze in continua evoluzione” afferma Greenpeace. Questo a proposito della campagna Detox My Fashion, ideata da Greenpeace Italia.

Agire con responsabilità

Detto tutto ciò, c’è una vera soluzione a questo problema? Non nell’immediato futuro. Di certo i produttori potrebbero creare abiti destinati a durare davvero, con pratiche più sostenibili. Anche cercare di rinnovare le componenti delle fibre utilizzate e delle tinture potrebbe essere un aiuto. Infine, come consumatori possiamo acquistare in maniera più responsabile, evitando di seguire ogni minimo capriccio ad ogni cambio della moda. La fast fashion, insomma, non è più un’alternativa praticabile.

Serena Nencioni
Serena Nencioni
Nata all'Isola d'Elba, isolana ed elbana e orgogliosa di esserlo. Amo la scrittura e la musica.

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