giovedì, Aprile 25, 2024

Fase 2: così l’Italia si riscopre più tedesca della Germania

Fino a ieri era il nemico cattivo che ci ha costretti a vivere segregati in casa, trasformandoci in alunni timorosi di essere ripresi, e puniti, dalle Forze dell’ordine se soltanto ci allontanavamo oltre 200 metri da casa.

Il “cattivo” per eccellenza che ci ha fatto riscoprire talenti nascosti, o forse mai avuti (?!), come quello per la lettura – mai avremmo pensato di benedire la scelta del governo di considerare i giornali beni di prima necessità?! -, per le formule matematiche, che ci hanno aiutato ad allungare di qualche passo i fatidici 200 metri, e per l’assistenza cinofila.

Arlecchino

Oggi, invece, questo nemico tignoso si è trasformato in uno scanzonato Arlecchino, che si diverte a nascondersi nei polmoni, nel cuore, nei reni e nelle articolazioni, ma anche nei vasi sanguigni e nella pelle.

Non provoca più solo febbre, tosse secca, affanno, mancanza del respiro e perdita del gusto e dell’olfatto, ma anche prurito, orticaria, “geloni” alle mani e ai piedi.

E se fosse ancora Moby Dick?

«La sensazione è che il virus abbia perso forza e quello spirito di aggressione che aveva nella metà del mese di marzo» spiegava alcune settimane fa l’infettivologo Matteo Bassetti dell’ospedale San Martino di Genova.

Il problema, però, è capire il motivo per cui abbia perso la sua aggressività iniziale, come peraltro sottolineato dallo stesso Bassetti.

Insomma, il nemico cattivo si è realmente trasformato in Arlecchino oppure è ancora Moby Dick che sta aspettando l’allentamento delle misure di restrizione sociale per risvegliarsi e tornare a scagliarsi contro la Pequod-Italia?

Le Regioni accelerano

In questo momento la politica italiana ha scelto di affrontare il nemico cattivo, considerandolo alla stregua di Arlecchino:a dare il via alla sfida sono state le Regioni che hanno spinto per un ritorno graduale, ma accelerato alla normalità, inducendo anche il Governo a imboccare la strada del coraggio, che potrebbe rivelarsi tra qualche settimana dell’imprudenza.

Improvvisamente, i numeri dei positivi, delle vittime e la famosa curva dei contagi sono diventati l’appendice del libro confuso della ripartenza.

Il caso Liguria: i contagi crescono…

Anche se i media tacciono, in questo momento la situazione in Liguria è di piena emergenza, tra le peggiori a livello nazionale: è la regione con il tasso di trasmissibilità Ro più alto d’Italia, compreso tra lo 0,8 e lo 0,9, mentre in tutte le altre regioni è compreso tra lo 0,3 e lo 0,7.

Il 3 maggio, inoltre, risulta essere ancora la regione con il maggior numero di nuovi contagi: 186, pari al 2,3% in più rispetto al giorno precedente, mentre in tutte le altre regioni l’aumento è inferiore al 7%, a parte in Piemonte (11 27%) e nel Lazio (8,55%).

… ma la Regione riapre

Nonostante questo contesto preoccupante, da una settimana i bar, i ristoranti, le pizzerie e le gelaterie liguri possono già svolgere vendita per asporto (take-away), e non solo tramite il servizio di consegna a domicilio.

Quindi, è già consentito andare a prendere un caffè, un cappuccino, un cornetto o un gelato al bar, ma anche aperitivi, panini e tramezzini, purché non si consumi in prossimità del locale al fine di evitare assembramenti.

I liguri, inoltre, sempre da una settimana possono raggiungere le seconde case di proprietà per lo svolgimento di attività di manutenzione e riparazione o praticare la pesca sportiva: l’importante è che tutti rientrino nelle loro abitazioni entro mezzanotte.

Liguria apripista della Fase 2 (senza merito)

In questo modo, la Liguria, insieme a Veneto, Abruzzo e Toscana, si è conquistata il titolo di Regione apripista alla Fase 2.

Con un dettaglio non trascurabile: nelle altre regioni l’emergenza è sotto controllo e i contagi si stanno riducendo drasticamente, in Liguria aumentano.

Eppure il governatore Toti, molto presente nei talk-show nazionali, continua a predicare la linea dell’aperturismo, senza fare alcun cenno all’emergenza. Che abbia deciso di ingaggiare una gara nei confronti del premier Conte, ma soprattutto del collega veneto Luca Zaia? Il sospetto è legittimo.

Il Governo si adegua

La corsa a chi arriva prima, quindi, è già scattata: se Liguria, Veneto, Abruzzo e Toscana hanno già occupato la corsia di sorpasso e altre le stanno raggiungendo, il Governo ha rotto gli indugi, imboccando la corsia di accelerazione.

Gli schemi sono ormai saltati: la curva dell’andamento dei contagi ha lasciato il posto alla (non) strategia che il virologo dell’Università di Padova Andrea Crisanti riassume efficacemente nel «vediamo quello che succede, se l’epidemia riprende richiudiamo».

Il Dpcm del 26 aprile, che possiamo definire “Decreto vaghezza”, ha previsto che dal 4 maggio gli italiani possono spostarsi, oltre che per i motivi di salute, lavoro e necessità già in vigore, anche per far visita ai congiunti e per praticare attività motoria e sportiva.

Nelle ore successive al varo del decreto, alcuni ministri hanno chiarito che l’uso della macchina deve essere limitato ai soli casi di necessità, rientrando tra questi anche la visita ai congiunti, ma non per fare una corsa o una camminata: al massimo, saremmo potuti uscire di casa con la bicicletta, in quanto strumento funzionale all’attività motoria.

Nel giro di una settimana, lo scenario è cambiato: a poche ore dall’entrata in vigore del “Decreto vaghezza”,  il Governo ha chiarito attraverso una Faq che per raggiungere il luogo individuato per svolgere le attività sportive o motorie, è consentito l’utilizzo di un mezzo privato e, addirittura, dei mezzi pubblici, e lo spostamento entro i confini della regione L’importante è essere da soli, o con il convivente, rispettare le distanze e rientrare a casa subito dopo aver corso o camminato.

Il paradosso

Insomma, i fatidici “200 metri” che hanno stimolato il nostro talento culturale, matematico e cinofilo, si sono ampliati sino a occupare l’area dell’intero territorio regionale.

La bicicletta si è motorizzata, indossando la carrozzeria di una macchina, di una moto e persino di un autobus, di un treno.

La previsione di utilizzare i mezzi pubblici per svolgere l’attività fisica e motoria è alquanto discutibile, considerando anche che la loro capienza è ridotta per garantire il rispetto del metro di distanza.

La fragilità della politica

In questi due mesi di emergenza acuta abbiamo consegnato le nostre vite in mano a medici, infermieri, virologi, epidemiologi. Sono loro che ci hanno strappato dalla morsa di Moby Dick, sono loro che hanno scandito i ritmi lenti della nostra quotidianità. La politica si è limitata a svolgere una funzione notarile, ratificando una scelta– quella del lockdown – che non aveva alternative.

Ora che l’emergenza ha assunto una dimensione più sostenibile e la chiusura totale non è più l’unica strada obbligata, la politica avrebbe dovuto dimostrare la sua forza e il suo senso di responsabilità. Invece, sono riemersi tutti i vecchi limiti.  

Ci siamo illusi che questi due mesi straordinari potessero cambiare le dinamiche della politica. Quantomeno, lo speravamo. Invece, niente: l’assenza di strategia, l’incapacità di sviluppare programmi chiari e condivisi e la logica del conflitto sono sopravvissuti al virus.

Il peso della responsabilità sui cittadini

Da una parte abbiamo governatori e assessori regionali scalpitanti, spesso smaniosi di protagonismo e inclini a esibirsi in prove muscolari; alcuni in scadenza di mandato, e quindi con un occhio proiettato alle prossime elezioni regionali, rinviate in autunno; dall’altra un governo inesperto e fragile, che si trova a fronteggiare una sfida epocale che avrebbe fatto venire i brividi anche a esecutivi più collaudati e coesi, posto il fatto che in Italia la coesione è la più grande latitante non ricercata.

In mezzo, ci siamo noi. Ancora una volta, la politica ha deciso di addossare sugli italiani il peso di ogni responsabilità.

La scelta di seguire la logica del «vediamo quello che succede, se l’epidemia riprende richiudiamo» si fonda proprio sulla speranza che ogni italiano affronti queste settimane con il rigore, la compostezza e la consapevolezza dimostrati in questi due mesi.

La Germania a casa nostra

E così, se fino a qualche giorno fa guardavamo con una certa invidia i nostri amici tedeschi passeggiare per le vie delle città, fare i pic-nic nei parchi e prendere il sole lungo le rive dei fiumi, oggi scopriamo di essere anche noi un po’ più simili a loro.

Certo, non possiamo fare assembramenti, non possiamo prendere il sole in spiaggia o nei parchi, possiamo mangiare un gelato o prendere un caffè, ma senza sederci ai tavolini del bar, a meno che non viviamo in Calabria, dobbiamo indossare le mascherine e rispettare le distanze.

Tuttavia ci sentiamo più liberi per il solo fatto di poter camminare in spiaggia, anche se non in quelle della Romagna, della provincia di Ancona e nei lidi di Ostia, lungo i sentieri di montagna o le strade bianche in collina. E di poter prendere la barca per andare a fare un giro al largo.

La nostra libertà non è quella dei tedeschi

La libertà dei tedeschi è da inquadrare nella loro cultura e nella scelta, discutibile e rischiosa ma chiara, da parte del governo di imboccare la strada della normalità senza troppi vincoli e limitazioni, anche in considerazione del fatto che l’epidemia ha colpito in maniera diversa il territorio.

La nostra libertà, invece, è effimera, figlia della necessità del Governo di far riaprire tutte quelle piccole attività che, altrimenti, prive di un sostegno economico, sarebbero destinate al fallimento.

Il futuro dell’Italia è nelle nostre mani

Insomma, la classe politica ha deciso di addossare sugli italiani il peso dell’incertezza di questo momento.

I nostri comportamenti delle prossime settimane saranno decisivi per sconfiggere  il nemico, che dobbiamo continuare a considerarlo Moby Dick.

Il caffè, la colazione al bar, gli aperitivi rappresentano l’emblema della socialità, dello stare insieme, della spensieratezza.

Andare al bar per ritirarli e consumarli altrove è un “non senso”, a meno che non siamo lavoratori. Come un “non senso” sarebbe prendere l’autobus per andare a correre in spiaggia o a camminare in montagna.

Moby Dick attende le nostre mosse

Un “non senso” che potrebbe risvegliare Moby Dick e renderla protagonista indiscussa dell’estate ormai alle porte.

L’auspicio è che molti bar rimangano chiusi, rinunciando al take-away e che il Governo dia finalmente a tutte le attività, a partire da quelle al dettaglio, contributi a fondo perduto per farle respirare: la loro sopravvivenza, in questo momento, non può essere affidata ai cittadini.

Tenere ancora chiuso e rinunciare a qualche svago ora, significa vivere un’estate al massimo. In compagnia del burlone Arlecchino, lasciando Moby Dick dormire in fondo al mare in attesa che un vaccino le doni un sonno eterno.

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