venerdì, Aprile 19, 2024

Falcone e Borsellino e la loro grande eredità: la luce nel buio di uno Stato colluso

Hanno amato il proprio paese. Hanno amato la vita sino a sacrificarla. Giovanni e Paolo sono due italiani entrati nella storia della nazione come pochi altri in precedenza. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non sono solamente nella storia, ma esistono ancora nel presente e continueranno ancora a lungo a fare parte del futuro del paese. Perché vivono, e vivono perché sono gli ultimi uomini credibili che il popolo italiano abbia conosciuto dal dopoguerra. La forza e la caratura di tali personaggi con la robustezza carismatica dei loro sorrisi trasparenti li rendono presenti nelle nostre vite. Dopo 25 anni dalla loro morte, ci troviamo, a mio avviso, solo difronte alle celebrazioni di uno Stato che in vita li ha però, abbandonati, isolati e delegittimati.

Giovanni e Paolo continuano a riscaldare il cuore, a trasmettere l’emozione della speranza ed il coraggio di credere che si possa fuoriuscire dalle sabbie mobili del malaffare e della schiavitù a quelli che li hanno amati e li amano, quelli che sono cresciuti con il loro esempio e seguendo il loro modello di vita; coloro per i quali si erano impegnati nel disegnare un paese democratico, libero e giusto e per i quali infine hanno dato la vita. Del loro lavoro, delle loro vittorie, del loro pensare, della loro caparbietà, del loro senso del dovere, delle loro intelligenze investigative, del loro coraggio si è scritto tanto. Oggi mi chiedo invece come i due magistrati vedrebbero l’Italia dopo gli anni delle stragi, a vent’anni dal loro estremo sacrifico. I due timonieri della legalità, della giustizia e dell’onestà si troverebbero di fronte ad un paese che nel tempo si è scisso in due. Da un lato lo Stato manipolato e manovrato a piacimento dalla classe politica e dall’altro, in posizione paradossalmente parallela, la cittadinanza, quasi come se Stato e cittadini non rientrassero più a far parte dello stesso tutt’uno. Per un verso, probabilmente, Falcone e Borsellino sarebbero fieri di chi, spinto dallo stesso spirito e armato da simili capacità investigative, ha continuato e continua a colpire le organizzazioni criminali, la mafia militare, con importanti catture o confiscando i patrimoni mafiosi (oltre 10.000 i beni confiscati); per un altro, osserverebbero con sgomento e terrore come le istituzioni e gli uomini dello Stato, sempre meno servitori del paese, abbiano chiaramente virato dal lato opposto a quello da loro indicato. A 25 anni dalla strage non resta purtroppo che constatare la crescita esponenziale della corruzione che ha ‘legalizzato’ e marcato il sentiero dell’illegalità, dell’impunità, del malcostume e del malaffare nella vita politica ed economica del paese. E che dire del fronte giustizia? Che direbbero Giovanni e Paolo di fronte a persone condannate in primo e secondo grado che stanno sedute in Parlamento? E che direbbero sulle verità non ancora scoperchiate relative ai mandanti delle loro uccisioni? Che stato d’animo avrebbero nel sapere che, nonostante il loro sacrificio, ci sono colleghi che da decenni sono sotto scorta e ricevono continue intimidazioni perché indagano sulla trattativa Stato-mafia e per il fatto che con le loro indagini provano a interferire con il ‘gioco grande’ del potere? E che penserebbero dei 172 consigli regionali sciolti per infiltrazioni mafiose? Tutto cambia, nulla cambia? Forse in questo mondo imperfetto, Giovanni e Paolo sarebbero orgogliosi per la crescita e la maturazione seppure lenta della società civile. I loro valori e i loro ideali negli anni si sono diffusi tra la popolazione. Dal silenzio complice di un tempo si è alimentato il risveglio civile, non solo in Sicilia ma sull’intero territorio nazionale. È un enorme passo avanti. Il Paese, quello della gente comune, si è dimostrato ricettivo più delle istituzioni nel coltivare e fare sbocciare una nuova coscienza civile e una differente coesione sociale. Cresce la consapevolezza e la condivisione dei principi di cui Giovanni e Paolo si sono fatti portatori, ancor più dopo la scomparsa. Esiste una reale frattura tra cittadini ed istituzioni e per rinsaldarla, esclusivamente nel nome del bene comune, non si può più essere attendisti e aspettare l’azione dall’alto né tantomeno si può continuare a delegare. Spetta alla gente, dal basso, fare fiorire nuove forme di culture e civiltà che traccino la strada verso il miglioramento sociale per il quale tanta gente, troppa, è morta. Il cambiamento può nutrirsi anche degli insegnamenti di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia: impariamo ad essere cittadini consapevoli, responsabili e liberi. È l’individuo, il cittadino, che determina e costituisce la vivibilità democratica di una nazione. Questa è l’eredità lasciataci. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono uomini che non muoiono.

Dopo 25 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio cosa resta dunque dell’eredità lasciata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?

Sicuramente del loro sacrificio, della loro lezione morale Palermo e la Sicilia hanno tratto l’orgoglio e la forza per cambiare. La società civile e le associazioni antimafia, da Addiopizzo a Libera, hanno promosso una nuova cultura della legalità perché effettivamente le inchieste della magistratura e le indagini delle forze di polizia, e mi preme definire questa branca di giustizia come quella buona, spesso fatta di eroi, sono riuscite a spezzare molte collusioni disarticolando spesso la struttura di Cosa Nostra. Tutti i grandi capi, da Totò Riina a Bernardo Provenzano, sono stati arrestati dopo anni di latitanza e condannati. L’attacco al potere mafioso ha investito, come aveva progettato Pio La Torre, con la legge che porta il suo nome e quello dell’ex ministro Virginio Rognoni, anche i patrimoni dei boss. Le enormi ricchezze accumulate con il sangue e con la forza dell’intimidazione criminale sono state riportate nel circuito dell’economia legale con l’affidamento di aziende e terreni ai giovani delle cooperative di produzione e lavoro. Le indagini sulle stragi si sono inoltrate nell’area grigia delle collusioni e delle coperture istituzionali.

Mentre Falcone e Borsellino venivano massacrati, pezzi importanti dello Stato intavolavano una “trattativa” con i boss per un patto scellerato che doveva fermare la strategia delle bombe in cambio di un allentamento della pressione repressiva. A chiedere verità e giustizia in questi anni anche migliaia di studenti di giovani che da tutta Italia che, in occasione dell’anniversario, dopo essere sbarcati dalle “ Navi della legalità” , hanno invaso Palermo e l’aula bunker dell’Ucciardone per manifestare in modo chiaro e netto il loro “No alla mafia” nel solco dell’insegnamento lasciato da Falcone e Borsellino.

 

“Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.”

Paolo Borsellino

 

“Fin da bambino avevo respirato aria di mafia, violenza, estorsioni, assassinii… Sono nato nello stesso quartiere di molti di loro. Conosco a fondo l’anima siciliana. Da una inflessione di voce, da una strizzatina d’occhi capisco molto più che da lunghi discorsi.”

Giovanni Falcone

 

“Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perchè il vero amore consiste nell’amare ciò che non mi piace per poterlo cambiare.”

Paolo Borsellino

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