Ha deciso di ritirarsi la Senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, dopo aver perso nel suo stesso Stato a seguito delle elezioni del Super Tuesday.
Come da tradizione, le consultazioni del 3 marzo scorso hanno dato nuova forma alla competizione democratica in vista della nomina per le presidenziali, determinando molti candidati ad abbandonare la corsa.
La candidata democratica ha spiegato che: “Non abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, ma ciò che abbiamo fatto insieme ha fatto una differenza duratura”, aggiungendo a malincuore: “Non è la differenza che volevamo fare ma è importante e [questi] cambiamenti influenzeranno gli anni a venire”.
La Senatrice ha proseguito: “Potrei non essere in corsa per le presidenziali del 2020 ma questa lotta – la nostra lotta – non è finita”.
Con il ritiro di Warren non ci sono più donne a competere per aggiudicarsi la nomina democratica a diventare l’avversario di Trump a novembre 2020.
La combattuta scelta è stata determinata dopo aver appreso i deludenti risultati racimolati all’indomani delle consultazioni elettorali del 3 marzo, che hanno visto la Democratica uscire sconfitta sia nello Stato del Massachusetts, per il quale ricopre la carica di Senatrice, sia per essersi piazzata al terzo posto in quello ove è nata, l’Oklahoma.
Al momento la Senatrice non ha dichiarato a quale dei candidati ancora in corsa dimostrerà il suo sostegno.
Sia l’ex vicepresidente Joe Biden sia il Senatore del Vermont Bernie Sanders che – salvo intoppi – si daranno battaglia fino alla metà di luglio, hanno confermato di averla contattata mercoledì per accaparrarsi il favore della Senatrice uscente.
Tuttavia, secondo quanto riportano le prime indiscrezioni di Politico, l’ex candidata avrebbe dichiarato di non aver intenzione di appoggiare nessuno dei due.
La decisione non è insolita, soprattutto considerato che a differenza dei suoi sfidanti Warren aveva incentrato tutta la sua campagna elettorale in un’ottica di pragmatismo progressista molto distante da quella dei suoi rivali.
Di sicuro non si può dire che la sua corsa sia stata un totale fallimento, anzi.
Secondo sondaggi nazionali, all’inizio di ottobre dello scorso anno la campagna della Senatrice aveva goduto di un notevole successo tra l’elettorato, designandola front-runner nell’allora folta lista dei candidati (12) alle primarie democratiche, in particolare grazie alle sue proposte in merito alla sanità pubblica conosciute come Medicare for All.
Su detto programma sanitario Warren era stata aspramente criticata dagli sfidanti a partire da Amy Klobuchar, Senatrice del Minnesota, ritiratasi alla vigilia del Super Tuesday.
Anche Pete Buttigieg, il più giovane tra i candidati prima del ritiro, si era spesso scagliato contro la Warren pronosticando addirittura un dibattito finale tra lui e la Senatrice del Massachussetts.
In un momento critico per la sanità negli Usa che mette in discussione lo stesso Obamacare i rivali hanno contestato a Warren il fatto che la riforma sanitaria proposta dalla Senatrice avrebbe comportato un notevole aumento delle tasse, argomentazione che non è riuscita efficacemente a demolire. La candidata a novembre si è vista costretta a fare un passo indietro e a promettere che non avrebbe messo mano alla riforma per i primi due anni del suo mandato nel caso fosse stata eletta.
Alla fine del mese, la metà dei suoi sostenitori l’avevano abbandonata.
La sua campagna, tuttavia, era terminata già molto tempo prima della sua ufficializzazione, come dimostra il progressivo e inesorabile calo dei consensi a ogni appuntamento elettorale.
Nonostante sia rimasta in corsa per tutto l’inverno a Warren probabilmente è mancato il coraggio sufficiente per osare a sottrarre a Sanders quella fetta di elettorato che le sarebbe servita per brillare di luce propria.
Lo stesso fiacco attacco di misoginia che la Senatrice aveva rivolto a Sanders prima dei caucus in Iowa, in gennaio, le si è ripercosso contro rivelandosi un grosso errore strategico aggravato dal fatto che i rivali repubblicani e l’opinione pubblica l’avevano sempre tacciata di abbellire a suo piacimento i fatti.
Così il Senatore del Vermont – celebre per la sua asserita onestà – ha avuto gioco facile nel liquidare la critica e presentarla come un innocuo fraintendimento tra i due, in passato amici.
Warren avrebbe potuto fare di più? Molto probabilmente sì anche paragonando i suoi tragici risultati all’incredibile recupero di cui invece è stato protagonista Joe Biden, nonostante i media lo dessero per sconfitto già alle prime consultazioni elettorali.
Inoltre, la Senatrice potrebbe aver perso gran parte del suo appeal dopo aver pubblicato sui social un test del DNA nel maldestro tentativo di sbarazzarsi dell’irritante nomignolo di “Pocahontas” affibbiatole da Trump, attirandosi per questo le ire dei nativi americani.
La Senatrice – accortasi troppo tardi dell’errore – si era subito scusata provvedendo a ritirare il post incriminato anche se il gesto non è bastato a placare l’opinione pubblica.
Ad averla gettata in cattiva luce sono state anche le voci riguardanti le accuse lanciate dalla stessa Senatrice che si è detta vittima di discriminazione perché licenziata per essere rimasta in cinta quando, nel 1971, occupava il ruolo di insegnante in una scuola pubblica.
La democratica si è difesa alla CBS News spiegando che: “Tutto quello che so è che avevo 22 anni, ero in cinta di sei mesi e il lavoro che mi era stato promesso per l’anno successivo è stato affidato a qualcun altro. Il Preside” ha evidenziato Warren “ha detto che avrebbero assunto qualcun altro per il mio lavoro”.