Elezioni in Siria: mafi rabia?

Basta Bashar o Bashar basta?

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Il 26 maggio in Siria si terranno le elezioni. Dopo undici anni di sanguinosa guerra civile, il Levante raccoglie i cocci di quel che resta. Morte, dolore, sofferenza. Quel che è peggio, è che la sua agonia non terminerà con il voto di domani. Non solo perché ci si aspetta che sarà rieletto il suo sanguinario presidente. Ma anche perché la Siria è oppressa dalle conseguenze di una crisi economica senza precedenti.

Elezioni in Siria: una storia travagliata?

Mafi rabia? Non c’è più primavera in Siria? Maggio. Dieci anni fa. In questo periodo centinaia di manifestanti erano scesi in piazza per chiedere indietro la propria dignità. Prima che le riforme politiche. La terribile siccità che si era abbattuta dal 2006 al 2011 aveva prosciugato un’economia prettamente agricola. Mentre le scellerate decisioni politiche di sovra-sfruttamento avevano portato a compimento la desertificazione. Tra cui la conversione delle coltivazioni a cotone e la proliferazione incontrollata dei pozzi privati. Basti pensare che nel 2010 almeno la metà dei pozzi in aree rurali della Siria, dove vive circa il 45% della popolazione, era illegale. Non c’era più rabia, in Siria. Un termine arabo che significa primavera ma anche foraggio.

La profezia

Se il processo di desertificazione della steppa non cesserà in tempi brevi, potrebbe rappresentare il detonatore per un tumulto sociale o una guerra civile“. Lo scriveva il ricercatore Gianluca Serra nel 2009, citato da Alberto Savioli. Due anni prima dello scoppio della rivoluzione. In effetti, la mancanza di acqua e l’aumento del prezzo del carburante per alimentare i pozzi aveva esasperato la popolazione. La quale non era più in grado di irrigare i campi e produrre il cibo necessario per il proprio sostentamento. La profezia si era avverata. Le proteste erano rapidamente sfociate in guerra civile. Nel 2011 la Siria era tornata a sperare.


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C’è sempre guerra in Siria

La popolazione aveva imbracciato le armi. Sulla scorta del successo delle primavere arabe in Egitto e in Tunisia, che avevano rovesciato i regimi dittatoriali di Zine el-Abidine Ben Ali e Hosni Mubarak, e della campagna aerea della NATO contro le forze di Muammar Gheddafi in Libia, l’alawita Bashar al-Assad era parso una soluzione. Ma gli antigovernativi non avevano fatto i conti con il fenomeno Isis. Che in Siria ha attecchito come un’erba infestante. Il sedicente Stato Islamico dell’Iraq e del Levante si era infiltrato nel conflitto, trovando terreno fertile in un terra arida. Dapprima mettendo radici nei villaggi più poveri del Paese. Fino a controllare gran parte del territorio siriano.

Speranze infrante

Nel 2013 la popolazione era soffocata dall’Isis, che controllava la maggior parte del Est siriano, sunnita. Tribù estranee al fondamentalismo religioso si sono viste costrette a pronunciare la Bay’a. La sottomissione a un leader che sanciva l’affiliazione al Califfato. Dal quel momento, la rivolta siriana si sarebbe trasformata in lotta armata. Fino in sanguinosa guerra civile. Dei 22 milioni di popolazione prebellica, nell’ultimo decennio almeno 7 milioni di siriani sono sfollati interni; mentre quasi 6 milioni sono fuggiti nei paesi vicini. Soprattutto in Libano, Giordania, Turchia. Ma anche Egitto e Iraq. Solo una piccola percentuale vive nei campi profughi allestiti dalle organizzazioni internazionali e non governative.


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Verso nuove elezioni in Siria

Molti siriani sono morti durante la detenzione. O sono scomparsi. Oltre 64.000 persone, per lo più donne e bambini, sono state rinchiuse nei campi di detenzione di Al-Hol e Al-Roj. Nel Nord-Est del Levante. Alla pari della popolazione dei paesi vicini, anche i siriani hanno dovuto affrontare una pervasiva mukhabarat (agenzia di intelligence). Ma anche la povertà e all’assenza delle libertà fondamentali. Eppure, il desiderio di cambiamento era forte. Lo riassume uno slogan dipinto sul muro di un palazzo, nella città siriana meridionale di Daraa: “la gente vuole la caduta del regime”.

Elezioni e militarizzazione in Siria

Ma la militarizzazione della rivolta e l’infiltrazione dei gruppi di fondamentalisti islamici avrebbero favorito la sopravvivenza politica di un dittatore sanguinario: Bashar al-Assad. Per dieci anni, il rappresentante di al-Assad al consiglio di sicurezza avrebbe usato la minaccia del terrorismo per giustificare assedi a intere città e quartieri. Oltre che l’uso di armi chimiche contro i civili. Il suo stesso popolo. Oggi, dopo undici anni di guerra, al-Assad si prepara alle elezioni del 26 maggio. E ci si aspetta che sarà rieletto. In caso di ballottaggio, la Corte Costituzionale Superiore della Siria ha selezionato due figure senza peso politico. L’Occidente respinge queste elezioni come una farsa, che danneggerà gli sforzi diplomatici per porre fine alla guerra civile.

Elezioni in Siria: cambieranno qualcosa?

Come riferisce il Post, ai sensi della legge siriana potranno candidarsi solo politici che hanno vissuto in maniera continuativa in Siria nei precedenti 10 anni. Ciò “significa che i leader politici di opposizione in esilio non potranno presentarsi alle elezioni”. Inoltre, i candidati “dovranno avere l’appoggio di almeno 35 membri tra i 250 del parlamento siriano, che è dominato dal partito Baath, il cui leader è Assad”. Ad ogni modo, quelle del 26 maggio saranno le seconde elezioni presidenziali in Siria, da quando è iniziato il conflitto. Come ricorda il sito di notizie Tpi, nel 2014 Assad era riuscito a riconfermarsi per il suo terzo mandato. Allora, al-Assad aveva ottenuto “l’88 percento delle preferenze in un voto considerato non democratico dagli osservatori internazionali”.

Alle consultazioni successive, nel 2015, l’intercessione della Russia aveva “consentito ad Assad di riconquistare gradualmente il territorio, confinando le forze ribelli e islamiste nella provincia nordoccidentale di Idlib, con il sostegno anche dell’Iran”.


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Elezioni in Siria: crisi monetaria

Intanto, il presidente ha nominato ad aprile il nuovo governatore della banca centrale siriana. Secondo l’agenzia di stampa SANA, a ricoprire l’incarico sarà Muhammad Issam Hazima, che sostituirà Hazem Karfoul. Questo cambio di registro (per altro immotivato) avviene nel mezzo di una crisi economica devastante. Nella quale si assiste a un processo di svalutazione monetaria senza precedenti. Secondo i tassi di cambio odierni, 1 dollaro statunitense equivale a 1.257 lire siriane. A pesare sono anche le conseguenze di una guerra civile decennale e delle sanzioni statunitensi all’Iran. Il principale fornitore di carburante alla Siria. Hazima è un rappresentante della commissione di sicurezza siriana che ha studiato in Francia, come riferisce Al Monitor.


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Il punto

Mentre Assad si accinge a consolidare la sua leadership, in Siria continuano i combattimenti. A causa della guerra sono morti finora quasi 400 mila siriani. Tra cui 20 mila bambini. Secondo la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite istituita per la Repubblica araba siriana, migliaia di civili hanno subito torture, violenze sessuali o altri abusi. La crisi economica ha devastato il Paese. Non c’è più primavera in Siria. Mafi rabia.