Egitto: al-Sisi getta le basi per un’altra dittatura

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Come era prevedibile, il presidente al-Sisi è ad un passo dal vedere approvate le riforme costituzionali che gli consentirebbero di restare in carica fino al 2030.

Da più di due mesi nell’Egitto del generale al-Sisi non si sentono altri slogan che quelli che invitano il popolo a votare “si” al referendum costituzionale che si terrà tra il 22 e il 24 aprile prossimi. Se il popolo darà il suo assenso alle modifiche della legge fondamentale, tutte le speranze degli egiziani per un futuro democratico cadranno sotto i colpi di una dittatura ancora più feroce di quella di Mubarak, spesso definita dittatura “morbida”.

Uno slogan molto diffuso dice: “Un futuro luminoso e un domani migliore”, un leit-motiv, quest’ultimo, che si ripete come un disco rotto, che si diffonde in tutte le strade del Cairo. A dispetto dello slogan qui riportato, che dovrebbe trasmettere serenità e tranquillità ai cairoti, il clima che si respira nella città dei faroni, è tutt’altro che sereno e gioioso, il Paese sta vivendo un momento molto buio della sua storia moderna.

Tutto sommato, quest’atmosfera pre-referendaria non dovrebbe stupire più di tanto, poichè se al-Sisi ha fretta di modificare la costituzione, è perchè vuole consolidare il suo potere.

al-Sisi: l’eterno presidente

E’ noto che l’ex generale è diventato presidente della repubblica egiziana nel 2014, in seguito ad un colpo di Stato nel 2013, che lui stesso ha realizzato ai danni del leader dei Fratelli musulmani Muhammad Morsi.

Quattro anni dopo la sua elezione a capo dello stato, al-Sisi, nelle elezioni dello scorso anno, è stato riconfermato con il 97,8 di voti presidente della repubblica, battendo Moustafa Moussa, che per modo di dire era suo “avversario”, poichè, in realtà, era uno dei suoi sostenitori.

Veniamo adesso alla modifica della costituzione che al Sisi vuole far approvare. Gli emendamenti alla legge fondamentale sono diversi, per essere precisi, si tratta di quattordici emendamenti, tuttavia, l’articolo costituzionale che al-Sisi intende modificare a tutti i costi, è l’art. 140 che prevede una durata massima di due mandati per il presidente di quattro anni ciascuno.

Il Comitato per gli affari costituzionali ha modificato parzialmente il testo dell’articolo, inserendovi un articolo transitorio che estende la durata del mandato presidenziale a due anni oltre i quattro già previsti, di conseguenza il mandato di al-Sisi scadrebbe nel 2024, tuttavia egli potrebbe ricandidarsi nuovamente e sedere sullo scranno più alto fino al 2030. E dopo? Come recita il vecchio adagio “Chi vivrà, vedrà”.

La campagna referendaria, come era facilmente prevedibile, non è stata libera e trasparente, ma è stata accompagnata da una repressione totale di ogni forma di dissenso. Si sostiene che le petizioni, che chiedono a gran voce il cambio della costituzione, sono quasi tredici milioni, dati, quest’ultimi non verificabili ( o che non si vogliono verificare).

Il regime, inoltre, per mostrare l’enorme partecipazione della popolazione al referendum ha introdotto un Comitato di dialogo nazionale, il quale, però, è composto da sostenitori di al-Sisi e da nostalgici dell’èra Mubarak.

Insomma un referendum a senso unico, e ancora una volta a farne le spese, sono gli egiziani che vedono infrangersi le loro speranze per un futuro migliore. Forse, chi sta nella stanza dei bottoni pensa che gli egiziani non siano ancora pronti per la democrazia, o forse dare più diritti al popolo, potrebbe mettere a repentaglio gli interessi di certe categorie, in primis quelli delle forze armate.

Un accanito sostenitore della campagna contro il cambio della costituzione è Muhammad al-Sadat, nipote del ex-presidente Anwar as.Sadat, il quale ha dichiarato: ” Dal momento che l’autorità legislativa e le istituzioni statali non afferrano i pericoli di violare la Costituzione e di adattare articoli specifici per adattarsi solo al presidente, chiediamo agli egiziani di manifestare e respingere gli emendamenti”.

As-Sadat ha precisato che boicottare il referendum non è sufficente, poichè minore è la base votante, maggiori sono le possibilità che gli emendamenti siano approvati.

Il destino incerto del Paese

A dare man forte al regime accorrono anche i parlamentari fedeli al presidente, che sembrano più interessati a consegnare il Paese nelle mani del generale, che a prendere a cuore i problemi del popolo. Essi dicono che queste riforme sono un passo necessario, poichè consentiranno ad al-Sisi di stabilizzare il Paese e proseguire le sue riforme economiche.

La realtà è un’altra e molto più triste: l’Egitto è un Paese in difficoltà, le riforme imposte dal Fondo monetario hanno strozzato i ceti bassi ed arricchito i ceti alti ed i militari che sono i veri padroni dell’Egitto.

Tra le riforme che saranno sottoposte a referndum, una in particolare, mostra come il controllo operato dalle forze armate è ancora molto forte, ossia al Consiglio Supremo delle forze armate potrebbe essere attribuita la facoltà di nominare il ministro della difesa, ma non solo, gli articoli come il 185, 189 e 193 della costituzione, portano la magistratura sotto il controllo del presidente, il quale avrà la facoltà di nominare il presidente della Corte di Cassazione, quello della Corte Costituzionale e l’ufficio del procuratore generale.

Se queste riforme saranno approvate, le speranze per un futuro democratico saranno vane. Agli Stati con i quali l’Egitto intrattiene relazioni diplomatiche ed economiche, poco importa quale sarà il destino politico del Paese; a questo proposito , infatti, in un incontro tra Trump e al-Sisi alla Casa Bianca, al presidente americano è stata chiesta un’opinione sul referendum che aumenterà la durata del mandato di al-Sisi, il tycoon ha così risposto: ” E’ un grande presidente. Tutto quello che posso dire è che sta facendo un grande lavoro”.

Queste sono parole irresponabili, di chi non conosce la realtà dei fatti, ma è interessato solo alle relazioni commerciali, dalle quali può trarre profitto.

Per l’Egitto resta ancora una speranza, ossia l’articolo 226 della costituzione che fa espressamente divieto di modificare i testi che riguardano la rielezione del presidente. I paralmentari che hanno a cuore il destino politico del Paese e l’eredità di piazza Tahrir del 2011 dovranno lottare per convincere gli egiziani ad impedire questo ennesimo scempio costituzionale.

Visti i recenti sviluppi in Algeria e in Sudan, il regime egiziano è sempre più preoccupato che la protesta possa diffondersi anche all’interno del Paese e far cadere anche la dittatura di al-Sisi, ma quest’ultimo per essere certo della vittoria ha fatto bloccare numerosi siti internet contrari alla riforma costituzionale.

Un’azione del genere vuol dire che il regime è disposto a tutto pur di preservare se stesso e il suo controllo sull’Egitto. Si ricordi inoltre che i militari hanno molto peso in tutti gli aspetti della vita quotidiana, come già abbiamo ricordato in passato, anche la vita giuridica del Paese è sotto il controllo delle forze armate, infatti l’art. 204 della costituzione egiziana conferisce l’autorità ai tribunali militari di giudicare i civili.

Se proprio si deve modificare la costituzione, allora non sarebbe meglio riesaminare tutti quegli articoli che concedono un potere assoluto ai militari ?

Forse è vero il popolo egiziano non è ancora pronto per la democrazia, ma se non gli si offrono gli strumenti per gettarne le basi, questa forma di governo resterà sempre una chimera.