Alla fine degli anni ’40 lo psicologo americano Bertram R. Forer, nel corso di una lezione, parlò ai suoi studenti del “Diagnostic Interest Blank”, un questionario standardizzato da lui messo a punto per descrivere in maniera sintetica ed oggettiva il carattere di una persona, invitandoli a compilare il questionario stesso. Sulla base dei risultati, avrebbe quindi tracciato un breve profilo caratteristico di ciascuno.
Dopo aver raccolto ed elaborato i dati, distribuì ad ognuno il profilo individuale che aveva ricavato, chiedendo di esprimere con un punteggio da zero a cinque quanto esatta fosse la descrizione. Il risultato fu più che buono: quasi tutti gli studenti si erano riconosciuti nel profilo e avevano dato un punteggio molto alto, tra quattro e cinque. Ma quello che non sapevano, è che i profili “individuali” erano in realtà tutti uguali.

Contenevano affermazioni generiche applicabili praticamente a chiunque (“A volte dubiti seriamente di aver preso la giusta decisione o di aver fatto la cosa giusta”),anche contraddittorie (“A volte sei socievole, altre diffidente”), ma proprio per questo motivo percepite dai soggetti come proprie (chi non ha mai dubitato delle proprie scelte? Chi non alterna momenti di estroversione ad altri di riservatezza?). Naturalmente giocava una parte importante nel processo l’autorevolezza del soggetto dal quale provenivano le informazioni, ovvero il loro professore e il fatto che ricostruivano tratti di carattere complessivamente positivi, ma soprattutto il fatto che, siccome ognuno riteneva si riferissero alla sua persona, era ben disposto a crederci.
Fateci caso: la pubblicità, prima ancora del prodotto, caratterizza il target a cui è rivolto, costruendo attorno alle nostre vite un mondo di storie attraverso messaggi che sembrano personalizzati per ognuno di noi, e ai quali tendiamo – per questo – a prestare ascolto. Dall’automobile preferita dall’uomo che ama l’avventura, alla crema di bellezza per le madri che – giustamente! – si sentono ancora giovani, alla bigiotteria per le ragazzine preadolescenti già impegnate nel mettersi all’attenzione dei loro coetanei. Ogni prodotto è legato ad un attributo positivo che induce chiunque a fare proprio, ed essere lui il destinatario individuale di un messaggio che – viceversa – è palesemente generalizato.

La verità è che, nelle infinite sfumature che ci rendono unici, siamo tutti molto, molto simili; e che, anziché coltivare e valorizzare queste differenze, tendiamo ad uniformare i nostri gusti e i nostri stili di vita conformandoci ai modelli proposti – sforzandoci poi, attraverso i beni di consumo, di raggiungere quel livello di differenziazione a cui abbiamo abdicato. Per questo gli imbonitori continueranno a prosperare per sempre promettendo grandi risultati in cambio di minimi sforzi. Per questo continueremo a credere alle false promesse di un Uomo della Provvidenza piuttosto che prenderci le nostre responsabilità ed impegnarci per migliorare le nostre vite e quelle degli altri.
Viviamo nello stesso modo, pensiamo nello stesso modo, consumiamo le stesse cose. Ci riconosciamo in qualcuno che non siamo ma un po’ ci assomiglia, e ci sforziamo per diventare come lui. Così cerchiamo un capobranco che ci guida, anziché chiederci dove vogliamo andare.