Non lo sanno i sociologi e nemmeno gli economisti che si occupano di lavoro, ma ne sono certi alcuni genitori. Fare il liceo è inutile, a meno di non proseguire con l’università. Oppure: un professionale permette di avere un “lavoro in mano” (sic!).Peccato che le cose non stiano così.
Un liceo – potenzialmente – dà più garanzie di un istituto tecnico, così come una cultura vasta più di una rigidamente specialistica
Il primo dato, aldilà delle opinioni, è quello di contesto: la disoccupazione giovanile (15-24 anni) è attorno al 30%; il secondo è quello della ripresa economica, che resta attorno allo zero. In poche parole, non esiste una prospettiva occupazionale – non dico “certa” – ma neppure “probabile”, solo possibilità episodiche fuori da ogni statistica (a meno che, naturalmente, non si tratti di far passare di mano l’attività di famiglia). Ma le poche variabili che emergono nelle dinamiche occupazionali possono lo stesso darci qualche indicazione circa le competenze maggiormente spendibili: la conoscenza di lingue straniere e soprattutto la ri-convertibilità dei saperi e delle abilità alle esigenze di un lavoro in continua trasformazione; in questo senso, un liceo – potenzialmente – dà più garanzie di un istituto tecnico, così come una cultura vasta più di una rigidamente specialistica.
Alla luce di questo misunderstanding, credo sarebbe interessante capire se mediamente la scelta dell’indirizzo di istruzione superiore per i propri figli si basi (oltre che sull’autorità) sui convincimenti e sulle conoscenze dei genitori oppure tenga in considerazione il parere chi è deputato all’attività di orientamento, il cui giudizio potrebbe costituire un contrappeso al rischio di proiettare sulle nuove generazioni le ansie, le aspettative, la disinformazione, i luoghi comuni, il protagonismo, e persino alcuni residui dello status sociale di coloro che le hanno precedute. Sembra una domanda retorica, ed in effetti lo è – ma non per questo è meno importante.
Come è naturale affidarsi a specialisti per risolvere (o avere risposte) su problemi specifici, mi parrebbe naturale fare lo stesso in relazione ad un tema importante come quello del futuro dei più giovani, dando loro la possibilità di affrancarsi dai limiti del vissuto dei propri genitori, lasciandoli provare ad immaginarsi in un mondo anche diverso da quello attuale, e non condannarli ad essere – sempre se tutto va per il verso giusto – mere repliche di personaggi un passato recente e di un presente che (credo possiamo essere tutti d’accordo) verrà ricordato dai posteri come qualcosa di assolutamente perfettibile.
La scuola nasce con finalità pedagogiche, e non come “semplice” formazione professionalizzante
Ma c’è anche un’altra questione di carattere più generale: nel dibattito pubblico e privato mi sembra che ci si sia dimenticati che la scuola – non a caso inserita tra le agenzie di socializzazione primarie – nasce con finalità pedagogiche, e non come “semplice” formazione professionalizzante. È (o, al peggio, dovrebbe essere) il luogo dove i bambini apprendono i valori della convivenza civile, della libertà e del rispetto – ed anche, imparando a conoscere e a conoscersi, quello in cui dare vita ai sogni, prendendo coscienza dei propri interessi e sviluppando le proprie potenzialità; non una fucina di addetti in erba alla produzione o al terziario, ma un’esperienza di vita che rimarrà loro impressa per sempre. Conformarla ad un possibile sbocco lavorativo (peraltro senza riuscirci, nella stragrande maggioranza dei casi), mi sembra un imperdonabile errore di prospettiva, una distorsione che impedisce ai più giovani di (almeno!) provare a fare – e ad essere – ciò che vogliono, e non che possono.
Un’occasione di sviluppo della propria personalità
La scuola non deve essere una caserma che educa all’obbedienza, così come il lavoro – quello di cui parla la Costituzione – una condanna, ma un‘occasione di sviluppo della propria personalità. Forse, in assenza di certezze pragmatiche, è meglio dare spazio alla fantasia e abituare i più giovani ad ascoltare i propri desideri, anziché costringerli a scelte che seguono logiche oramai desuete o – peggio ancora – basate su una visione solo parziale. Perché il futuro è loro, e a loro tocca decidere come costruirlo.