L’Italia, come ogni Paese europeo, ha avuto le sue regine. Alcune di esse riposano in terra straniera, e così anche la protagonista di oggi: ed è soltanto recentemente che ha potuto trovare pace, anche se non nel luogo in cui era nata.
Nacque Jelena Petrović Njegoš l’8 gennaio del 1873, a Cetinje, nel Montenegro, e così la conosciamo noi, come Elena del Montenegro. Sesta di dodici figli, venne cresciuta ed educata secondo forti valori familiari e culturali. Sensibile ed intelligente scriveva poesie e amava la natura, i fiori in particolare.
Il padre la indusse a frequentare la corte degli zar, sperando che il futuro zar Nicola II decidesse di prenderla in moglie. Ma questo non accadde: invece, dopo un abile gioco di intrighi politici la giovane Elena conobbe Vittorio Emanuele di Savoia, allora unico erede maschio della casa reale italiana. L’incontro avvenne a Venezia e i due giovani si piacquero, tanto che si giunse alle nozze.
Per poter sposare il principe Elena dovette convertirsi dalla fede ortodossa a quella cristiana, e per questo motivo sua madre non partecipò alla cerimonia, svoltasi a Roma nel 1896.
Dopo l’assassinio del re Umberto I di Savoia, l’11 agosto del 1900 Vittorio Emanuele III e la sua sposa salirono al trono. Elena, sensibile e caritatevole, preferiva occuparsi del benessere dei suoi sudditi e fare qualcosa per loro piuttosto che intromettersi negli affari dello Stato: fu infatti compagna dimessa e silenziosa del re, cercando sempre di tenersi nell’ombra. Dava assistenza ai malati e ai bisognosi, come durante il terremoto a Messina nel 1908, dove si prodigò per portare aiuto e conforto, o quello in Garfagnana del 1921. Durante la Prima Guerra Mondiale servì come infermiera, e studiò lei stessa medicina, fino a conseguire la laurea ad honorem. Nel 1927 promosse la Lega Italiana per la lotta contro il cancro: ancora oggi, a Roma, l’Ospedale Oncologico ha nome Regina Elena.
Oltre a tutte le varie iniziative cui prendeva parte, troppe per poterle elencare, mise al mondo e allevò cinque figli (Iolanda, Giovanna, Mafalda, Umberto e Maria). Proprio a favore di Umberto, unico erede maschio, il re Vittorio Emanuele abdicò il 9 maggio 1946, a Seconda Guerra Mondiale finita. Presa con sé la moglie si confinò in esilio, raggiungendo Alessandria d’Egitto, ospiti del re Farouk I.
Il re esiliato morì appena un anno più tardi, il 28 dicembre del 1947. Elena, vedova e con una figlia, Mafalda, persa nel campo di concentramento di Buchenwald, e scopertasi malata di cancro si ritirò in Francia, a Montpellier.
Qui si spense, sola e dimenticata da tutti il 28 novembre del 1952, e venne sepolta come suo desiderio in una semplice tomba. La partecipazione ai suoi funerali fu grandissima: cinquantamila francesi le resero omaggio.
Dovettero passare anni, sessantacinque per l’esattezza prima che Maria Gabriella, nipote di Elena, riuscisse a far rientrare in Italia le salme dei nonni. Era il 15 dicembre del 2017, e le spoglie dei sovrani esiliati riprendevano finalmente la via verso Roma, alla sola condizione che non venissero poste nel Pantheon.
I due reali riposano adesso l’uno accanto all’altra nel santuario di Vicoforte, in provincia di Cuneo, anche se le proteste sono state forti, considerando il tacito appoggio della famiglia dei Savoia a Mussolini nel corso della Grande Guerra.
Tuttavia, leggendo la biografia della regina Elena, non si può negare che in vita operò molto più per il bene che per il male, e dunque un cenno di pietà, soprattutto dopo tanti anni, sarebbe quantomeno dovuto. Nulla potrà mai cancellare gli errori della Storia, naturalmente: ma, a modesto parere di chi vi scrive, è anche giusto riconoscere chi cercò sempre di prodigarsi per rendere migliore la vita di quello che considerava il suo popolo. E di questo, almeno, sarebbe giusto renderle merito.