Dieselgate: storia di uno scandalo a quattro ruote

Un riepilogo della vicenda che ha colpito la Volkswagen, e non solo

0
1108

Oggi vi raccontiamo una brutta storia, quella del Dieselgate. Correva l’anno 2015, quando la Volkswagen fu travolta dal più grande scandalo degli ultimi anni, nato da un software malandrino per alterare le emissioni. Di lì fu un terremoto, tra scuse, risarcimenti, e deliri politici e mediatici. Ed una conversione forzata al sacrosanto elettrico, che però ha i suoi bei cadaveri nell’armadio (ma questa è un’altra storia). Ma torniamo al grosso inciampo del diesel, facendo il punto della situazione.


Chi paga il prezzo ambientale per la produzione di auto elettriche? Le Terre Rare…


Qual è la storia del Dieselgate?

Lo scandalo scoppia nel 2015, ma le prime avvisaglie arrivano l’anno precedente. Negli Stati Uniti, una ricerca dell’Università del West Virgina scopre che le vetture a gasolio emettono una quantità di ossidi d’azoto anche 40 volte superiore ai limiti consentiti. Il NOx è una sostanza di per sé innocua, ma combinata con altre sostanze organiche, può aumentare i rischi di tumore. Ragion per cui le leggi americane, dagli anni 70, impongono limiti severi per tale sostanza. Ed è proprio su questo limite che si gioca la partita di Volkswagen.

Infatti, nel settembre del 2015, la Enviromental Protection Agency scopre che i modelli Volkswagen con i motori 2.0 TDI adottano un software adattativo che “taglia” la potenza per abbassare i valori di NOx. Il sistema viene indicato come fraudolento, iniziando le procedure d’infrazione contro la casa di Wolfsburg. Che stranamente non prova nemmeno a difendersi, se non qualche dichiarazione dell’allora CEO Martin Winterkorn, che sostiene di non saperne nulla. Lo stesso Winterkorn che sarà costretto alle dimissioni meno di un anno dopo, entrando in una vera e propria odissea giudiziaria.

Un terremoto a quattro ruote

Alla sua scoperta, lo scandalo è di dominio pubblico. Per la Volkswagen è tempo di fare i conti tra class action e danno d’immagine. Nel 2016 il Gruppo annuncia le prime perdite dopo anni di utili, e la ragione è presto detta. In quello stesso anno, la casa deve sborsare quasi 15 miliardi di dollari per ricomprarsi le auto “taroccate”, a cui si aggiungono altri risarcimenti in Europa che comportano una perdita totale di 30 miliardi di Euro nel 2020. Inoltre, fa pubblicare una lettera in cui ammette di aver venduto auto con il software incriminato fin dal 2006, accordandosi con varie associazioni di consumatori per i risarcimenti.

I dirigenti finiscono in manette. Il primo a finire sotto la scure giudiziaria è James Liang, ingegnere condannato a 40 mesi di reclusione da un tribunale del Michigan. Oliver Schmidt, alto dirigente di VW, viene arrestato in Florida mentre era in vacanza, e si becca ben sette anni di prigione. Nel 2018 è la volta di Winterkorn ad essere indagato, così come per il CEO Herbert Diess e per il supervisore del board Hans Dieter Poetsch. Ma questi due si salvano dal processo grazie ad un accordo extra giudiziale da nove milioni di Euro. Winterkorn invece finirà sul banco degli imputati, in un procedimento che è ancora in corso. Oltre agli USA e in Germania, la Wolkswagen dovrà affrontare la legge anche in Francia, dove però la questione andrà in sede civile e non in sede penale. In Italia un tribunale dl Avellino ha condannato il costruttore a risarcire un cliente, ma finora è l’unico caso della storia del Dieselgate nel nostro paese.