martedì, Dicembre 10, 2024

DANTE SORPRENDE ANCORA: SCOPERTA UNA SUA LETTERA

Il 17 ottobre 2018 è stata rinvenuta una lettera di Dante Alighieri

Paolo Pellegrini, docente di Filologia e linguistica italiana dell’Università di Verona, è il responsabile della scoperta. L’epistola sembra risalire all’ agosto del 1312Cangrande della Scala, signore di Verona, inviò una lettera al novello imperatore Enrico VII, chi poteva esserne il vero compositore? Con altissima probabilità Dante Alighieri. Un compito difatti delicato, che poteva essere assegnato ad un uomo tanto amico del signore di Verona, al punto di riservagli un altissimo elogio nel canto XVII del Paradiso?  La risposta è quasi certamente positiva.

Il contenuto della lettera

“La lettera, che era già stata pubblicata un paio di volte in passato – spiega Pellegrini – proviene da una raccolta di testi, presi come esempio del buon scrivere, che il notaio e maestro di “ars dictaminis” Pietro dei Boattieri, attivo a Bologna tra Due e Trecento, aveva incluso in un codice confluito più tardi in un manoscritto oggi conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze.   In essa Cangrande della Scala denunciava all’imperatore Enrico VII i gravi dissensi sorti all’interno dei sostenitori dell’Impero: Filippo d’Acaia, nipote dell’imperatore e vicario imperiale di Pavia, Vercelli e Novara, e Werner von Homberg, capitano generale della Lombardia, erano venuti alle mani e solo il tempestivo intervento dei presenti aveva evitato un tragico epilogo. Cangrande manifestava all’Imperatore tutta la propria preoccupazione, invitandolo a riportare la pace e la concordia prima che altre membra del corpo imperiale si sollevassero le une contro le altre armate”.

   “Da un’attenta analisi del testo della lettera, dei suoi riferimenti e degli stilemi linguistici, appare evidente come la probabilità che l’abbia scritta Dante sia altissima. – prosegue il professor Pellegrini – In essa è inserito un richiamo ai passi di due Variae di Cassiodoro che Dante aveva già utilizzato più di una volta: nell’aringa del 1306, nell’epistola a signori d’Italia e più ancora nell’esordio di un atto di pace stipulato nell’ottobre del 1306 in Lunigiana, che vede il poeta comparire in prima persona, in qualità di procuratore dei Malaspina. Ma c’è di più. All’invocazione della pace, che peraltro attraversa anche molti altri scritti danteschi, segue, nell’epistola di Cangrande, l’esplicito richiamo all’ammonimento di Gesù secondo il quale “Ogni regno diviso in se stesso va in rovina” (Mt 12,25; Le 11,17). Anche nella Monarchia (I v 8) Dante additò la necessità di un unico re ai fini di una pacifica convivenza. Tornano dunque le parole chiave del “regnum” e della “tranquillitas” in sequenza con la citazione evangelica. Ma il binomio pace e tranquillità compariva già – quasi un’ossessione che perseguitasse il poeta nel suo penoso esilio – nell’epistola prima, che Dante scrisse a nome dei fuoriusciti fiorentini nella primavera del 1304.”

LE CONSEGUENZE SUL SOMMO POETA

Ora bisogna riscrivere e re-imparare la biografia del padre della lingua italiana: egli ha difatti soggiornato a Verona per un lungo periodo, dal 1312 al 1320. “Cadono in un colpo solo le ipotesi, formulate forse un po’ troppo frettolosamente, – spiega ancora Pellegrini – che tra 1312 e il 1316 volevano Dante a Pisa o in Lunigiana, o addirittura lo immaginavano negli attendamenti imperiali tutto preso dalla stesura della Monarchia. Nell’estate del 1312 Dante si trovava già a Verona e se la Monarchia fu scritta a quest’epoca, fu scritta sotto l’occhio vigile di Cangrande”.

Dunque Verona diviene la seconda città ove Dante ha soggiornato di più ed il suo patrimonio letterario ancora più ampio.

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