Era ottobre del 2015 quando Francesco Sicignano, pensionato di Vaprio d’Adda (Milano), ha ucciso un ragazzo albanese che era entrato nella sua abitazione.
Francesco, per il gip di Milano, alla fine del 2017 era risultato innocente, assolto per “legittima difesa”. Ma, già nel 2016, i genitori del 22enne Gjergi Gjonj si erano dibattuti affinché vi fosse giustizia per l’assassino di loro figlio. Presentarono infatti contro Francesco un atto di opposizione per omicidio volontario a causa di “numerose incongruenze” che non vennero però riscontrate dalla procura.
Ora Francesco Sicignano è un uomo libero per la legge italiana, ma non lo è per la Kanun, una legge morale ancora praticata in alcune regioni dell’Albania, e quindi dai genitori del ragazzo.
“Francesco grazie per avermi ucciso un figlio. Lo Stato italiano ti ha assolto e tu pensi di essere salvo. Ma io ti troverò: puoi nasconderti sotto terra puoi anche farti proteggere da guardie del corpo ma io, la mia famiglia, i miei amici o anche un sicario… Qualcuno ti troverà e ti ucciderà.”
Sono queste le parole che il padre di Gjergi Gjonj ha lanciato contro il pensionato italiano, segnandolo per sempre.
La ricerca di vendetta
La Kanun consiste infatti nella rivendicazione del proprio familiare morto uccidendo un membro della famiglia avversaria.
E, a dimostrazione che non vi è via d’uscita, Luigi Pelazza – inviato de Le Iene – nella puntata di ieri 10 febbraio, ha incontrato le famiglie, compresa quella del ragazzo che ha giurato vendetta, cercando una mediazione e una sorta di perdono che non è stata però raggiunta.
Perché, come spiega Pelazza, la Kanun è una vera e propria legge.
Questa, vieta l’omicidio all’interno della propria abitazione, costringendo chi è sotto minaccia di vivere segregato in casa, con la possibilità di uscire solo per delle emergenze. Vi sono quindi anche dei cavilli: per esempio, se una di queste persone dovesse andare in ospedale, i mediatori delle due famiglie si accorderanno su un periodo di tregua per permettere le cure.
Ma nulla di tutto ciò viene riconosciuto dal governo Albanese che, attraverso il consigliere del ministro dell’Interno, la ritiene, ai microfoni de Le Iene, “un’invenzione di qualche associazione che vuole arricchirsi attraverso fondi e donazioni.”
Ma Francesco non è il solo
Non c’è bisogno di uscire più di tanto dall’Italia per ritrovare il concetto di vendetta.
Era la notte di Natale del 2018 quando Marcello Bruzzese, fratello di un pentito appartenente alla ‘ndrangheta, viene ucciso sotto la sua casa a Pesaro.
Marcello era dal 1995 che scappava dal suo passato a Reggio Calabria costato la vita al padre e alla sorella. Nel 2003 il fratello ha poi provato ad uccidere il boss Teodoro Crea per costituirsi subito dopo alla giustizia e da quel momento le colpe ricaddero sul familiare ancora in vita: Marcello.
Erano ormai 3 anni che questo viveva sotto protezione con moglie e figli in un appartamento donatogli dal ministro dell’Interno, ma niente di tutto ciò ha fermato gli autori dell’assassinio, accusati di omicidio volontario con aggravante mafiosa.
E questo è solo uno dei tanti esempi di vendetta di mafia che si verificano ogni giorno nelle città di tutta Italia. Non corrisponderà esattamente alla Kanun albanese ma il principio che li percorre è lo stesso: “il sangue è levato con il sangue“.