venerdì, Aprile 19, 2024

Dal libro allo schermo: rischio analfabetismo digitale…e non solo.

 

La notizia allarme di alcuni docenti universitari che denunciano l’incapacità di molti studenti di “scrivere e parlare correttamente l’italiano e formulare una pensiero corretto e completo”, è passata su tutti i media nazionali questo fine settimana, non si parla ancora di emergenza, ma di certo la questione è piuttosto preoccupante.

Ma quanto influisce sulla cultura e l’istruzione la comunicazione e i media digitali? Essi sono responsabili di questi segnali di “analfabetismo”?

I prodotti della scienza non sono buoni ne cattivi, in quanto è il modo in cui vengono usati che determinano il loro valore. Nel suo libro “Internet ci rende stupidi” lo studioso Nicolas Carr, sottolinea come la nostra mente sia completamente cambiata negli ultimi anni e la prova schiacciante, secondo lui, sta proprio nel modo in cui pensiamo e leggiamo, nel rapporto con i libri.

Il passaggio dalle pagine allo schermo  provoca una estensione della mente e quindi un Io esteso, un’identità allargata.Non pensiamo più come prima, si fa difficoltà ad immergersi in un racconto scritto, a concentrarsi per qualche ora per comprendere meglio il suo contenuto; un’immersione nei testi oggi “è diventata una lotta”, scrive Carr. Si dà un’occhiata veloce al testo, si ha poca pazienza nel soffermarsi sul significato di alcune parole, si evitano lunghi ragionamenti ricchi di sfumature perché quasi innervosiscono, insomma stiamo assistendo ad un deterioramento della capacità (in particolare di molti bambini) di lettura e concentrazione.

Lo “zapping” da un sito all’altro, dialogo esclusivamente all’interno dei social network, click continui su simboli che segnalano il nostro apprezzamento o disgusto verso qualcosa o qualcuno, sostituendo emozioni e la capacità di esprimere in forma scritta e orale il nostro pensiero (vedi i like) sono solo alcuni esempi. Marc Prensky, esperto nel campo dell’educazione, sostiene la tesi di Carr e ha aggiunto che la tecnologia «plasma ciò che vediamo e come lo vediamo, alterando reazioni sensoriali o le forme di percezione». La nostra mente calma e concentrata rischia sostanzialmente di essere sostituita da un altro cervello: la Rete.

Ciò che si verifica è un’ adattamento cognitivo e comportamentale ad un nuovo contesto e alle sue caratteristiche; la neurobiologia conferma che leggere un testo online e uno cartaceo, ad esempio, è un processo completamente differente, in quanto richiede azioni fisiche e stimoli sensoriali diversi. Il passaggio dalla carta ad uno schermo influenza il modo in cui ci orientiamo e anche il grado di attenzione che dedichiamo ad esso: i vari link presenti in ogni testo in Rete, ci incoraggiano ad entrare ed uscire di continuo da più testi e questo perché ci attrae l’idea di vedere cosa nasconda quel collegamento ma ci distrae completamente dalla lettura e dal ragionamento.

Derrick de Kerckhove, riconosciuto come l’erede di McLuhan, espone la sua tesi al riguardo in un saggio non molto recente ormai, intitolato “La pelle della cultura”. Il sociologo riconosce questi cambiamenti ma dimostra come già la televisione aveva in qualche modo minacciato la nostra autonomia di pensiero e ragionamento critico, acquisite attraverso la lettura e la scrittura, perché ha la capacità di “massaggiare” la nostra mente, di accarezzarci, rendendoci inermi. Nel leggere un testo cartaceo, siamo noi che osserviamo i libri e abbiamo cosi la situazione sotto controllo, ma quando guardiamo la tv, è lo schermo che legge noi.

Il contatto oculare fra uomo-macchina comporta, per Derrick de Kerckhove, un abbassamento delle nostre difese e questo ci rende «sensibili ad una seduzione multisensoriale», per questo i bambini cresciuti davanti al televisore e non abituati ad una costante lettura dei libri, guardano le cose in maniera superficiale lanciando rapide occhiate qua e là tra una pagina e l’altra di un testo. Il bambino non allenato percorre il testo in modo ordinato creando e immagazzinando immagini, ma relazionandosi esclusivamente con lo schermo, si ritrova davanti a se frammenti di immagini veloci e differenti e ricostruisce cosi l’oggetto della visione, spesso senza produrre un senso (ma solo immagini appunto).

La tecnologia è uno strumento di cui non possiamo fare a meno, rinunciare all’utilizzo significherebbe restare esclusi da qualsiasi contesto e i ragazzi e la scuola non possono certo permetterselo. Ci si potrebbe  confrontare su una didattica e una metodologia che si ispiri ai “vecchi principi dell’insegnamento” ma che preveda l’utilizzo della Rete e dei social network a scuola per aiutare i ragazzi ad applicarsi di più, ad essere maggiormente stimolati ed educati ad un utilizzo più attivo e consapevole delle nuove tecnologie, perché no, anche per imparare la grammatica italiana.

 

 

Giacomo Buoncompagni
Giacomo Buoncompagni
Buoncompagni Giacomo. Aspirante giornalista scientifico. Laureato e specializzato in comunicazione pubblica e scienze sociali -criminologiche. Collaboratore di Cattedra presso l'Università di Macerata. Presidente provinciale Aiart Macerata. E' autore di "Comunicazione criminologica" e "Analisi comunicazionale forense" (2017)

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