Quello che una volta sembrava fantascienza ora è realtà. A Carrara i robot si dedicano alla scultura nella stessa maniera di Michelangelo. Tutto è partito da un articolo di alcuni giorni fa apparso sul New York Times intitolato: “Michelangelo chi? I robot irrompono nella scultura”.
Dei robot a Carrara
Uno dei robot che stava operando a Carrara è un gigante denominato ABB2. La macchina sta realizzando una scultura per conto di un artista americano. In un altra sala, invece, sta lavorando in contemporanea un suo ‘collega’, Quantek2, in attività per un’opera commissionata da un artista britannico. Questi sono i due robot menzionati nell’articolo del New York Times, ma ce ne sono altri nei diversi laboratori del luogo.
La scultura da Michelangelo ai robot: gli artisti mantengono l’anonimato
Per realizzare le sue opere, il celebre Michelangelo il più delle volte si serviva di una schiera di collaboratori dai nomi tuttora ignoti. A lavoro concluso, l’artista fiorentino vi apponeva la sua firma. Situazione simile anche oggi quando si svolgono dei lavori di restauro, dove si conoscono i capicantiere, ma non i nominativi dei singoli operai.
Questa volta il nome dei collaboratori è di dominio pubblico, ma sono dei robot a coprire questo ruolo. Al contrario sono gli artiti/committenti a voler rimanere nell’anonimato. Fanno eccezione alcuni nomi noti nel panorama contemporaneo, come Jeff Koons, Zaha Hadid, Vanessa Beecroft e Barry X Ball.
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Il futuro della scultura passa davvero da Michelangelo ai robot? Diverse opinioni
Michele Basaldella, 38 anni, è entusiasta sull’utilizzo dei robot a questo scopo. “Non abbiamo bisogno di un altro Michelangelo, ne abbiamo già uno”, ha commentato. Lui stesso si autodefinisce il ‘cervello’ della macchina che esegue.
“Al solo pensarci mi viene da ridere”
Di diverso parere è Giacomo Massari, 37 anni, uno dei fondatori di Robotor, l’azienda costruttrice di questi robot: “Gli artisti sono convinti che anche in questo modo possono dare l’idea di scolpire ancora come una volta. Al solo pensarci mi viene da ridere”. L’imprenditore non è convinto che l’abbandono del lavoro artigianale permetta alla scultura marmorea italiana di sopravvivere. Inoltre ha aggiunto che molti artisti abbandonano l’utilizzo del marmo per una questione di tempistiche. Manualmente ci si impiega mesi, se non addirittura anni. Con le nuove tecnologie circa 270 ore.
Il lavoro manuale non è richiesto sul mercato
Basaldella ha anche sottolineato che molti suoi ex compagni di classe erano degli abili scultori, ma non hanno fatto carriera, perché il lavoro manuale non è solo antico, ma non attira il mercato del lavoro. Qui i robot entrano in gioco, in quanto permettono di stare al passo con i tempi.
“Se Michelangelo vedesse i robot…”
Ancor più negativo è Michele Monfroni, 49 anni, bottegaio nei pressi di Carrara: “Se Michelangelo vedesse i robot, si metterebbe le mani sui capelli”. “I robot sono business, la scultura è passione”, ha aggiunto. Secondo lui si può definire ‘scultura’ soltanto un’opera eseguita manualmente.
La mano dell’uomo è ancora importante
Marco Ciampolini, storico dell’arte e direttore di un museo locale, non è così catastrofista. Ci ricorda, infatti, che “l’idea dell’artista che lavora da solo non è altro che un concetto romantico risalente al 19° secolo”. Una volta l’autore di avvaleva di collaboratori capaci. Nonostante l’entrata in scena dei robot, sostiene che un tocco umano (solo l’1% secondo Massari) sia ancora necessario per preservare il valore artistico.
Il parere degli studenti
Intanto in un’altra sala alcuni studenti stanno rifinendo alcune imperfezioni lasciate dal lavoro delle macchine. Ciò a dimostrare che ancora serve il supporto umano, come ha detto Emanuele Soldati, 26 anni: “La cosa buona è che i robot non possono fare tutto”. Non si è fatta attendere la replica di un suo compagno, Lorenzo Perrucci, 23 anni: “Fra tre o quattro anni saranno in grado di fare pure quello. In futuro dovrò fare altro. Magari programmare un robot”.