Parlare di vittime in termini statistici è un esercizio che non fa bene al nostro essere uomini. Ogni singola morte è una tragedia che merita rispetto, e se inquadriamo la questione in questi termini lo facciamo solo per riuscire a ricavarne informazioni utili a prevenire queste tragedie, nel presente come nel futuro.
I dati dell’ISS
L’Istituto Superiore di Sanità ha reso noti i dati relativi all’arco temporale di un anno, suddiviso nelle tre fasi che hanno caratterizzato la pandemia: la prima ondata (marzo-maggio 2020), la fase di bassa incidenza (giugno-settembre 2020), e la seconda ondata (ottobre 2020-marzo 2021) tutt’ora in corso.
Il primo dato che viene messo in rilievo è quello della letalità (rapporto tra contagiati e vittime): dal 29,2 % Lombardia (primo posto), al 3,6% Liguria (decimo posto), 0,3% Basilicata (ultimo posto), con una media a livello nazionale del 4,6% (per avere un riferimento, quello dell’influenza stagionale è stimato attorno allo 0,1%).
La Lombardia, nel primo trimestre marzo/maggio 2020 ha un indice del 47,7%. Le vittime di questa fase (16.366, quattro volte più dell’Emilia Romagna che è al secondo posto) pesano sul computo generale in modo significativo, tanto da suggerire un’analisi a livello nazionale che tenga presente il peso di questo fattore.
Età media delle vittime e età media dei contagiati
L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 81 anni (più elevata per le donne, 86 anni).
L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 è più alta di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (48 anni).
Ciò ribadisce che i rischi di esito letale rispetto a quelli del contagio sono non soltanto diversi di grado, e in più collegati ad altri fattori, come spiegato in seguito.
Presenza di patologie pregresse
Dall’analisi di un campione rappresentativo (decessi in soggetti che hanno avuto necessità del ricovero per regione, conservando una proporzionalità rispetto al numero delle vittime complessive) risulta che il 3,1% del campione presentava 0 patologie, l’11,9% 1 patologia, il 18,5% 2 patologie e il 66,6% 3 o più patologie.
Complessivamente, il 97% delle persone decedute aveva almeno una patologia pregressa importante.
Deceduti con età inferiore a 50 anni per COVID
Al 1 marzo 2021 sono 1.055 (1,1%) i pazienti deceduti positivi di età inferiore ai 50 anni, di cui 254 di questi avevano meno di 40 anni (152 uomini e 102 donne con età compresa tra 0 e 39 anni).
Di questi 254 under 40, 156 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità), 36 non avevano diagnosticate patologie di rilievo e di 62 non sono disponibili informazioni cliniche.
In termini percentuali, le vittime nella fascia di età 0-40 anni prive di patologie sono lo 0,037% (ammettendo lo fossero anche la metà di coloro per i quali non sono disponibili informazioni cliniche, la percentuale sale allo 0,069%).
Deceduti con età inferiore a 50 anni per influenza
Per avere un elemento di confronto rispetto al tasso di rischio della popolazione under 50, nuovamente possiamo fare riferimento alla mortalità dovuta ad influenza.
Il dato a nostra disposizione è quello validato da ISTAT relativo all’anno 2018, quando oltre 8,6 milioni (ma la media è di circa il 9% della popolazione) hanno contratto il virus, a fronte di un il tasso di letalità stimato dello 0,1 per cento (tra il 2007 e il 2017, le morti “dirette” per influenza sono state in media 460 l’anno; mentre le stime per i decessi “indiretti” vanno dai 4 mila ai 10 mila l’anno).
Nel 2018 le morti dirette a causa dell’influenza sono state 745, di cui 44 nella fascia 0-50 anni, con un tasso di incidenza del 5,90%. Rispetto al COVID (1,1%) si tratta una percentuale di rischio molto più alta per la fascia di popolazione considerata.
Cosa ci dicono i numeri
I dati restituiscono un quadro consolidato dopo un anno dall’inizio della pandemia in relazione alle vittime, di cui vengono evidenziate due precise caratteristiche, il più delle volte concomitanti.
Una è l’età avanzata, ribadita dallo scarto di oltre 30 anni tra quella media dei contagiati; l’altra, la presenza di gravi patologie pregresse (presenti, come evidenziato, nel 97% dei casi).
Va notato che non sappiamo della eventuale presenza di fattori di rischio per le vittime che clinicamente sono state valutate “sane”: tabagismo, alcoolismo, eccesso di peso (da non configurare obesità), ipercolesterolemia ed altro.
Inoltre è stato possibile osservare che nell’arco temporale preso in considerazione, aumentano i decessi di persone con 3 o più patologie preesistenti e diminuiscono quelli con meno patologie o nessuna.
Vale a dire che nel secondo e nel terzo periodo il rischio di morte riguarda sempre di più le persone più anziane e con una condizione di salute preesistente peggiore rispetto ai decessi relativi al primo trimestre.
Infine, un’altra variabile che emerge è quella geografica: 57.000 su 96.000 (59%) vivevano nelle quattro grandi regioni del nord (Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto), già attenzionate per via dei decessi legati all’inquinamento da polveri sottili.
Il coronavirus, insomma, per quanto riguarda i suoi esiti più gravi, sembra avere un target preciso.
La situazione in Italia
In Italia abbiamo circa 14 milioni di over 65, il più alto tasso d’Europa (riflesso dell’alta aspettativa di vita), di cui poco più di 7 milioni di over75.
Sempre l’ISS stima che oltre 14 milioni di persone convivano con una patologia cronica, e di questi 8,4 milioni siano ultra 65enni.
A ciò si aggiungono i fattori di rischio comportamentali implicati nell’insorgenza delle patologie: fra gli adulti di 18-69 anni fumano abitualmente il 30% degli uomini e il 22% delle donne, e risultano ex fumatori il 22% degli uomini e il 13% fra le donne. Consumano alcool il 22% degli uomini e il 12% delle donne, e hanno problemi di obesità rispettivamente il 10% e e l’11%.
L’incrocio di questi dati ci restituisce al dimensione del problema delle persone a rischio complicazioni a causa del Covid, e spiega come mai in Italia ci sono state così tante vittime. Tante, ma inferiori a quello che – secondo queste stime – potrebbero essere. E ciò potrebbe anche essere interpretato in modo positivo.
Strategie possibili
Fermo restando l’esigenza di non sovraccaricare il Servizio Sanitario Nazionale, questi dati ci suggeriscono una lettura di quello che stiamo vivendo piuttosto precisa.
Quest’anno di esperienza ci conferma che il rischi più gravi li corrono persone che possiedono particolari fragilità, come sempre accade; ma anche che il contagio, per il resto della popolazione, non comporta particolari problemi.
Una possibile riflessione, che trova riscontro nel nuovo piano anti-covid varato dal governo potrebbe essere quella di rivolgere gli sforzi a questa fascia di popolazione (che è molto estesa), così da metterla in sicurezza:
Ma anche renderci conto che quello che stiamo vivendo non si sta rivelando come una minaccia per l’umanità, ma una prova di responsabilità e di solidarietà verso coloro che sono più esposti,
Perché la nostra perduta normalità fatta di 10mila morti collegate all’influenza stagionale del 2019 – tutte persone vulnerabili sul piano della salute, dell’età ed entrambe le due cose – non sia più considerata tale. E neppure gli 85mila decessi per le polveri sottili, e tante altre tragedie che potremmo evitare riconvertendo la nostra società a livelli sostenibili, sia in termini di produzione/consumo che di comportamento individuale.
Perché il rischio di ogni approccio emergenziale è che alla fine i rimedi tentati siano peggiori del male. E che i più fragili paghino comunque il conto più alto, vanificando parte degli sforzi compiuti dall’intera popolazione.