Dopo l’emanazione del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6 – recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19» – e la successiva approvazione di tre diversi decreti attuativi (DPCM 23 febbraio 2020, DPCM 25 febbraio 2020, DPCM 1° marzo 2020), nonché del D.L. 2 marzo 2020, n. 9 – recante “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, nella tarda serata di mercoledì 4 marzo 2020 è stato firmato il un nuovo DPCM volto ad un contenimento sempre più radicale del contagio da Coronavirus.
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Tra i molteplici provvedimenti adottati, spicca senza dubbio quello relativo alla sospensione delle attività didattiche per gli istituti di ogni ordine e grado fino al 15 marzo 2020.
Una scelta forte, probabilmente quella di maggior impatto mediatico e sociale, che trova la sua ratio nella volontà di arginare la diffusione capillare del virus e così scongiurare il collasso delle strutture sanitarie nazionali.
Il Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha così commentato la misura governativa:“So che è una decisione d’impatto. Come Ministro dell’Istruzione spero che gli alunni tornino al più presto a scuola e mi impegno a far sì che il servizio pubblico essenziale, seppur a distanza, venga fornito a tutti i nostri studenti.”
Le conseguenze di tale decisione risultano indubbiamente molteplici. Le famiglie di milioni di studenti sono chiamate a dover gestire un nuovo scenario: permanenza dei figli in casa con conseguente riorganizzazione della routine quotidiana. In particolare, occorrerà capire come conciliare i tempi lavorativi con le cure parentali.
Al riguardo, sono già al vaglio del Governo degli interventi mirati che vanno dal voucher baby-sitter all’estensione del congedo parentale, fino all’utilizzo diffuso dello Smart Working o lavoro agile.
Quest’ultimo strumento, in particolare, già contemplato dal nostro ordinamento giuridico, si potrebbe rivelare una vera e propria boccata di ossigeno per fronteggiare le problematiche connesse a questa emergenza sanitaria.
Se è vero che fin dai primi interventi normativi afferenti il Coronvirus lo Smart Working ha trovato applicazione – soprattutto con finalità di salvaguardia della produzione nazionale – è anche vero che attualmente l’ampliamento del suo utilizzo potrebbe aiutare sensibilmente le famiglie nella gestione delle criticità da ultimo emerse.
Un’arma potente dunque, un “vaccino legislativo” in grado di fronteggiare due difficoltà di diversa natura, una economica e una sociale.
Ma vediamo meglio di cosa si tratta.
Lo smart-working trova la sua regolamentazione nella Legge 81/2017, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. Ci troviamo di fronte ad un nuovo modo di concepire l’articolazione dei modi, dei tempi e dei luoghi di svolgimento dell’attività lavorativa, sia nel settore privato che in quello pubblico.
E’ opportuno precisare che l’istituto in parola non va assolutamente confuso con lo strumento del tele lavoro. Nonostante la presenza di alcune affinità, si tratta di due modalità lavorative diverse.
In particolare, se il tele lavoro impone il collegamento da remoto con l’azienda (privata o pubblica che sia) da una postazione e con orari fissi, lo Smart Working consente (nell’ ambito di un accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore) una gestione più flessibile dei tempi lavorativi: orario autodeterminato dal lavoratore (pur sempre nel rispetto del monte ore stabilito dal datore di lavoro) e assenza di postazione fissa, con possibilità di lavorare tramite pc, smartphone o tablet grazie ad una connessione Wi-Fi.
Lo Smart Working si presenta quindi come una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa in regime di subordinazione priva di vincoli stringenti. Il suo obiettivo principale – perseguito anche mediante un’articolazione per fasi, cicli ed obiettivi – è dare la possibilità al lavoratore di coniugare i tempi vita-lavoro. Il raggiungimento dello scopo garantisce la produttività del soggetto in regime di Smart Working, a beneficio non solo del datore di lavoro ma dell’intera collettività.
Per tutta questa serie di ragioni, l‘istituto ha conosciuto, negli ultimi anni, una rapida diffusione.
Con l’emergenza Coronavirus lo Smart Working ha ricevuto nuova linfa da parte dello stesso Legislatore, il quale non solo se ne auspica il diffuso utilizzo anche in deroga (si prevede infatti la possibilità di ricorrervi in assenza di previo accordo individuale tra datore e prestatore di lavoro) ma ne rafforza la portata; infatti, con la circolare n.1/2020 il Ministro della P.A. Fabiana Dadone ha dettato le linee che il comparto pubblico dovrà seguire nell’applicazione del lavoro agile, trasformandolo da strumento sperimentale a misura obbligatoria, permanente e strutturale.
Dunque il Coronavirus ha dato la spinta necessaria per prendere decisioni radicali e innovative (come quella recata dalla circolare n.1/2020), decisioni di cui potremo beneficiare tutti nel lungo termine.
Ad oggi, lo Smart Working potrebbe rappresentare una valida alternativa per quei genitori che si trovano nella necessità di assistere i propri figli fino alla ripresa delle attività didattiche. Coloro che invece non hanno la possibilità di farvi ricorso dovranno attendere l’emanazione di provvedimenti di sostegno ad hoc; il tutto, ci si augura, in termini brevi e compatibili con lo sviluppo della situazione emergenziale.
Nel frattempo stringiamo i denti e rispettiamo le regole basilari per evitare il contagio.