Coronavirus e media

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Per chi si occupa professionalmente di quelli che sono gli effetti sociali della comunicazione, questi ultimi giorni rappresentano uno studio di caso con ben pochi precedenti (nella speranza che non ve ne siano in seguito). Nella confusione generata dalle opinioni di esperti o presunti tali, opinionisti, tuttologi e naturalmente animatori del mondo dei social, volevo provare a fare il punto su alcune informazioni veicolate dai media e sull’interpretazione che inducono nelle persone.

Dovrebbe essere superfluo (ma non lo è) ribadire che opinioni sensate derivano da informazioni corrette e dall’adeguata capacità di elaborarle; e che, fermo restando la libertà concessa a tutti anche di sbagliare, tutto quanto andrebbe meglio se ognuno riflettesse sui propri limiti e si affidasse, quando è il caso, alle indicazioni di chi è competente nella specifica materia. Ma sarebbe pretendere troppo.

Il primo dato di cui fare cenno è per forza quello dei contagiati e dei morti, quindi la relazione tra queste due grandezze. I giornali – in costante aggiornamento – parlano di 4 morti e 149 contagiati accertati in Italia. Naturalmente, ogni decesso rappresenta una tragedia, ma se ragioniamo su quello che è il livello adeguato di un fenomeno sociale (rilevazione delle variabili e incidenza statistica), dalle informazioni veicolate possiamo renderci conto che:

1) i decessi riguardano persone con un quadro clinico compromesso; che il virus, insomma, non sia la causa primaria. Infatti si tratta di persone anziane, con altre patologie, anche oncologiche. In alcuni casi persone da tempo ricoverate: come e da chi sono state contagiate? Questa potrebbe essere una domanda interessante. E da quanto tempo?

2) il numero di contagiati – l’Italia è il terzo Paese al mondo dopo Cina e Corea del Sud – è direttamente proporzionale al monitoraggio che viene fatto su pazienti che presentano sintomi di influenza. Laddove non vengono fatti controlli, l’assenza di contagiati è solo presunta. Ma questo è possibile solo perché gli esiti mortali del virus sono minimi: se viceversa ci fosse una mortalità significativa, l’evidenza della presenza del virus sarebbe accertata senza bisogno di analisi cliniche preliminari.

Dunque, da ciò che emerge, siamo in presenza di qualcosa di difficilmente controllabile, ma non così pericoloso. L’immunologo Burioni – di cui non si mettono in discussione le competenze (ma qualcosa avrei da ridire sulle modalità con cui le comunica) – ha ammesso che “la mortalità del coronavirus è medio-bassa: aumenteranno molto i casi, meno i morti” e che “la guarigione […] non deriva tanto dalla terapia, quanto dalla capacità dell’individuo di reagire”.

Il secondo dato riguarda la catena dei contagi. Da più parti si levano voci di persone (anche politici) che invocano la chiusura delle frontiere e il blocco della circolazione di uomini e merci. Non sfugge, a questo proposito, come la risposta più muscolare sia partita dalle regioni governate da centrodestra. Eppure, sta emergendo con chiarezza la mancanza di “casi zero”, ovvero l’impossibilità di ricostruire la sequenza dei contagiati. Non sappiamo se i focolai del nord Italia siano legati a persone che provengono dalla Cina (il fantomatico manager di Castiglione d’Adda da cui proveniva non è risultato positivo). E quindi che mettere in quarantena le persone che ne provengono potesse costituire un argine davvero efficace.

Quando ci fu l’epidemia della SARS (veicolata con le medesime modalità allarmistiche, ma allora non c’erano i social a fare da cassa di risonanza e da sfogo agli improvvisati virologi) la quasi totalità di coloro che provenivano dall’Oriente dichiarava alla frontiera italiana di provenire dallo scalo intermedio – Francia, Olanda e Germania – ed era rientrata tranquillamente. Forse oggi possiamo dire che nonostante questo le cose non sono precipitate.

Piuttosto, poiché la presenza del virus è stata accertata grazie agli esami effettuati su chi presenta sintomi sospetti, ha poco senso ritenere che ci siano nel territorio zone immuni dal contagio. L’epidemia di Covid19 potrebbe essere iniziata molto tempo prima di quanto comunicato dalla autorità cinesi, ed essere confusa con la consueta influenza stagionale che colpisce tutti gli anni in Europa milioni di persone (ad oggi oltre 5 milioni e mezzo solo in Italia), superata dalla quasi totalità delle persone senza particolari problemi. Anche l’influenza produce – per via diretta ma soprattutto indiretta – delle vittime, ma non per questo vengono prese misure draconiane di prevenzione della salute pubblica. Perchè la vera emergenza è risposta della Sanità ad una quarantena diffusa sul territorio, prima ancora che il contagio.

Naturalmente, le dirette televisive che aggiornano lo stato dei contagi e delle vittime con l’enfasi di una catastrofe sociale e sanitaria non aiutano le persone a capire la reale portata del problema (almeno quella stimata); e il calcio che ferma le sue partite (non accade praticamente mai, dati gli interessi in gioco), è un segnale che desta preoccupazione anche nei più scettici. E contribuisce a gettare benzina sul fuoco a quel modo di vedere la realtà come qualcosa che oppone il proprio gruppo di appartenenza al resto del mondo; che colloca responsabilità e minacce fuori da sé e dai propri contesti. Anche Manzoni pose il problema nel suo celebre “Storia della colonna infame”, di cui consiglio la (ri)lettura; vi si legge, tra l’altro:“La falsa coscienza trova più facilmente pretesti per operare che formole per render conto di quello che ha fatto”

Queste le considerazioni oggettive rispetto ai fatti noti. Non stiamo parlando di qualcosa da cui non si può guarire ma di una sindrome che, se diffusa, potrebbe esporre le fasce di popolazione più deboli a seri rischi per la salute. Gli sforzi legati al suo contenimento vanno letti in quest’ottica, e magari trarne qualche insegnamento: innanzi tutto a distinguere le informazioni vere da quelle false ed orientare al meglio del possibile le nostre scelte; e assumere consapevolezza del fatto che c’è sempre qualcuno più debole di noi che potrebbe beneficiare anche solo di un piccolo gesto da parte nostra. Non sto parlando di beneficenza, ma di comportamenti responsabili: tanto per citare un numero (la fonte è l’OMS), negli stessi paesi allertati dalla presenza di untori provenienti dall’Oriente, ogni anni 900.000 famiglie piangono un loro congiunto morto a causa del fumo passivo. Tanto per dire. Ma di questo non si parla mai, forse perché la colpa è nostra, non di qualcun altro che viene da lontano.

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Sono nato a Firenze nel 1968. Dai 19 ai 35 anni ho speso le mie giornate in officine, caserme, uffici, alberghi, comunità – lavorando dove e come potevo e continuando a studiare senza un piano, accumulando titoli di studio senza mai sperare che un giorno servissero a qualcosa: la maturità scientifica, poi una laurea in “Scienze Politiche”, un diploma di specializzazione come “Operatore per le marginalità sociali”, un master in “Counseling e Formazione”, uno in “Programmazione e valutazione delle politiche pubbliche”, un dottorato di ricerca in “Analisi dei conflitti nelle relazioni interpersonali e interculturali”. Dai 35 ai 53 mi sono convertito in educatore, progettista, docente universitario, ricercatore, sociologo, ma non ho dimenticato tutto quello che è successo prima. È questa la peculiarità della mia formazione: aver vissuto contemporaneamente l’esperienza del lavoro necessario e quella dello studio – due percorsi completamente diversi sul piano materiale ed emotivo, di cui cerco continuamente un punto di sintesi che faccia di me Ein Anstàndiger Menschun, un uomo decente. Ho cominciato a leggere a due anni e mezzo, ma ho smesso dai sedici ai venticinque; ho gettato via un’enormità di tempo mentre scrivevo e pubblicavo comunque qualcosa sin dagli anni ‘80: alcuni racconti e poesie (primo classificato premio letterario nazionale Apollo d’oro, Destinazione in corso, Città di Eleusi), poi ho esordito nel romanzo con "Le stelle sul soffitto" (La Strada, 1997), a cui è seguito il primo noir "Sotto gli occhi" (La Strada, 1998 - segnalazione d’onore Premio Mario Conti Città di Firenze); ho vinto i premi Città di Firenze e Amori in corso/Città di Terni per la sceneggiatura del cortometraggio "Un’altra vacanza" (EmmeFilm, 2002), e pubblicato il racconto "Solitario" nell’antologia dei finalisti del premio Orme Gialle (2002). Poi mi sono preso una decina di anni per riorganizzare la mia vita. Ricompaio come finalista nel 2014 al festival letterario Grado Giallo, e sono presente nell’antologia 2016 del premio Radio1 Plot Machine con il racconto "Storia di pugni e di gelosia" (RAI-ERI). Per i tipi di Delos Digital ho scritto gli apocrifi "Sherlock Holmes e l’avventura dell’uomo che non era lui" (2016), "Sherlock Holmes e il mistero del codice del Bardo" (2017), "Sherlock Holmes e l’avventura del pranzo di nozze" (2019) e il saggio "Vita di Sherlock Holmes" (2021), raccolti nel volume “Nuove mappe dell'apocrifo” (2021) a cura di Luigi Pachì. Il breve saggio "Resistere è fare la nostra parte" è stato pubblicato nel numero 59 della rivista monografica Prospektiva dal titolo “Oltre l’antifascismo” (2019). Con "Linea Gotica" (Damster, 2019) ho vinto il primo premio per il romanzo inedito alla VIII edizione del Premio Garfagnana in giallo/Barga noir. Il mio saggio “Una repubblica all’italiana” ha vinto il secondo premio alla XX edizione del Premio InediTO - Colline di Torino (2021). Negli ultimi anni lavoro come sociologo nell’ambito della comunicazione e del welfare, e svolgo attività di docenza e formazione in ambito universitario. Tra le miei ultime monografie: "Modelli sociali e aspettative" (Aracne, 2012), "Undermedia" (Aracne, 2013), "Deprivazione Relativa e mass media" (Cahiers di Scienze Sociali, 2016), "Scenari della postmodernità: valori emergenti, nuove forme di interazione e nuovi media" (et. al., MIR, 2017), Identità, ruoli, società (YCP, 2017), "UniDiversità: i percorsi universitari degli studenti con svantaggio" (et. al., Federsanità, 2018), “Violenza domestica e lockdown” (et. al., Federsanità, 2020), “Di fronte alla pandemia” (et. al., Federsanità, 2021), “Un’emergenza non solo sanitaria” (et. al., Federsanità, 2021) . Dal 2015 curo il mio blog di analisi politica e sociale Osservatorio7 (www.osservatorio7.com), dal 2020 pubblicato su periodicodaily.com. Tutto questo, tutto quello che ho fatto, l’ho fatto a modo mio, ma più con impeto che intelligenza: è qui che devo migliorare.