giovedì, Marzo 28, 2024

Coalizione Usa attaccata in Iraq: sale la tensione

Un convoglio della coalizione Usa in Iraq è stato attaccato nel sud del paese. L’attentato non ha provocato vittime ma ha irritato Washington. Intanto, salgono le tensioni al Pentagono dopo l’escalation di violenza che si registra dall’inizio dell’anno. Che Teheran stia attuando la sua vendetta?

Cos’è successo alla coalizione Usa?

L’esplosione di una bomba sul ciglio della strada aveva fatto temere il peggio per la coalizione Usa in Iraq. L’attacco ha preso di mira un convoglio che trasportava logistica per gli alleati statunitensi contro il gruppo terroristico Daesh. Meglio noto come ISIS. Martedì, un funzionario iracheno ha confermato che l’incidente è avvenuto nella città meridionale di Nassiriya. L’attentato non ha provocato vittime né danni ingenti. Sebbene non sia stato ancora rivendicato, si tratta del secondo attentato in 24 ore come riferisce l’agenzia Anadolu. Questo in base a quanto dichiarato da un portavoce del Ministero dell’Interno. A ben vedere, l’episodio s’inserisce in una preoccupante escalation di tensioni che è in corso dall’inizio del mese. Soprattutto nel Centro e nel Sud del paese. Intanto, ancora nessun commento da parte delle autorità irachene. Né tantomeno dalle milizie della coalizione a guida statunitense.

Il contingente Usa in Iraq

Eppure, sembrerebbe che Washington abbia individuato come artefici del duplice attentato proprio i gruppi iracheni sostenuti dall’Iran. Per di più, il clima di rinnovate tensioni segue alla decisione del Pentagono di ridurre il proprio contingente in Iraq e Afghanistan. La decisione era stata assunta dal presidente uscente Donald Trump, pochi mesi prima di lasciare la carica. Questo per porre fine alle cosiddette “guerre infinite” degli Usa. Un regalo niente affatto gradito dal suo successore, Joe Biden. Anzi, il democratico nei primi cento giorni della sua presidenza era tornato in Medio Oriente con un’azione politica decisamente aggressiva. Specialmente in Siria, dove aveva autorizzato diversi attacchi. Eppure, ridimensionando il contingente a stelle e strisce il Tycoon aveva solo formalizzato una mossa attesa da tempo. Che sia stata anche lungimirante?


Pentagono riduce truppe USA a 2500 in Iraq (video)


Dem poi GOP e ancora Dem

Col senno del poi sarebbe facile rispondere di no. D’altra parte, la prospettiva potrebbe essere ribaltata. In questo senso, la strategia del repubblicano sarebbe potuta consistere in un segnale di distensione dei rapporti con i paesi mediorientali. Una prerogativa indispensabile in vista di una futura rappacificazione. Eppure, a pensarla diversamente erano stati gli stessi analisti statunitensi, che in patria avevano duramente criticato tale risoluzione. Soprattutto, l’avevano letta come una sorta di ripicca di Donald Trump nei confronti del suo successore democratico Joe Biden. Del resto, neppure i democratici avevano allentato la morsa durante l’era Obama. Al contrario. Lo dimostrano ben sette conflitti promossi dal presidente afroamericano che ha ricevuto un Nobel della Pace. Che sia stato un riconoscimento assegnato prematuramente?

Guerra sì guerra no?

Fatto sta che la storia recente sembrerebbe confermarlo. Non solo Afghanistan e Iraq. Ma anche Siria e Ucraina. Sono solo alcuni esempi del lungo elenco di guerre combattute durante l’amministrazione “pacifista” di Obama. Tanto che può risultare difficile distinguere i casi in cui il presidente afroamericano si sia trovato a “gestire” conflitti ereditati dai suoi predecessori. E quando invece abbia agito sulla base di una precisa volontà. Ad ogni modo, quando ancora comandava Trump i funzionari della coalizione Usa in Medio Oriente avevano rassicurato del fatto che le forze irachene sarebbero state in grado di gestire da sole gli ultimi virgulti del sedicente Stato islamico. “Stiamo continuando ad espandere i nostri programmi di capacità dei partner che abilitano le forze irachene e ci consentono di ridurre la nostra impronta in Iraq“. Lo aveva detto il generale dei marine Frank McKenzie, capo del comando centrale degli Stati Uniti.


Attacchi in Iraq: l’Iran si dichiara innocente


Perché l’attacco alla coalizione Usa?

Per Shafaq News, il duplice attacco potrebbe avere dei risvolti più importanti. Anche in ragione della tempistica dei due episodi, avvenuti a meno di 24 ore l’uno dall’altro. Dapprima, infatti, era esploso un ordigno su un’autostrada del governatorato di Babel, nella regione centro meridionale di al-Diwaniyya. Sempre ai danni della Coalizione Globale e senza vittime. E non rivendicato. Poi, quello di Nassiriya. Coincidenze? Sembra difficile crederlo. Quanto all’agenzia di stampa irachena, ha suggerito che gli attentati potrebbero veicolare un messaggio politico. In effetti, appare sospetto che l’escalation di violenze sia seguita all’emanazione di un provvedimento del parlamento iracheno. Votata a maggioranza il 5 gennaio 2020, la legge avrebbe posto fine alla presenza militare straniera su tutto il territorio nazionale.

Do ut des

La proposta di legge era seguita all’uccisione del comandante iraniano della Forza Quds, Qassem Soleimani e del vice capo Abu Mahdi Al-Muhandis. Ad ogni modo, gli attentati ai danni della coalizione Usa sono diventati più frequenti dal 3 marzo scorso. Allora 10 missili avevano colpito la base occidentale di Ain al-Asad, nel governatorato di Anbar. Lì, sono di stanza non solo i soldati iracheni. Ma anche le forze straniere tra cui il contingente statunitense. Tanto che un alto funzionario del Dipartimento della Difesa Usa aveva espresso “enorme delusione” per lo scarso impegno mostrato dalle autorità irachene nel garantire la sicurezza degli alleati. Nonostante Baghdad avesse promesso indagini scrupolose sulla serie di attentati. E che avrebbe assicurato i responsabili alla giustizia.


L’Iraq commemora Qassem Soleimani protestando contro gli USA


Attacchi sempre più frequenti alla coalizione Usa

A ben vedere, le basi statunitensi in Iraq sono diventate un bersaglio frequente a partire dall’ottobre del 2019. Si tratta di oltre 30 attacchi, la maggior parte dei quali a opera dei ribelli. Il che ha esasperato Washington fino a convincerlo a passare alla controffensiva. Per questo, il Pentagono ha minacciato ritorsioni contro le milizie irachene filo-iraniane. Soprattutto, verso le Brigate di Hezbollah cui l’esercito statunitense attribuisce vari attentati. Del resto il 28 marzo un portavoce dei militanti, Muhammad Mohi, aveva chiarito come la presenza di forze straniere sul suolo iracheno rappresentasse “una minaccia per la sicurezza nazionale”. Oltre che un modo per cedere sovranità ai “traditori”.

Le rivendicazioni

Come ha chiarito Mohi, l’Iraq sarebbe in grado da solo di fronteggiare le minacce terroristiche. Senza bisogno dell’aiuto estero. In particolare quello statunitense. Allo stesso tempo, i militanti di Hezbollah accusano il governo del premier iracheno Mustafa al-Kadhimi di favorire gli interessi di Washington anziché quelli del popolo iracheno. Ragion per cui le truppe irachene hanno spesso preso di mira la Green Zone, in passato. Si tratta di un’area fortificata nella capitale, Baghdad. Lì hanno sede non solo le istituzioni governative del paese. Ma anche i principali consolati, tra cui quello statunitense. Per le stesse ragioni gli iracheni avevano colpito prima l’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Poi, una base aerea della coalizione Usa. L’attacco del 15 febbraio era stato rivendicato dai “Guardiani delle Brigate di Sangue”.


Dieci razzi contro una base Usa nell’ovest dell’Iraq


Il punto

In definitiva, le tensioni tra Washington e Teheran sul suolo iracheno portano a ritenere che l’Iraq possa divenire il terreno di confronto. Specialmente dopo l’uccisione per mano statunitende del generale Qassem Soleimani e del vicecomandante delle Forze di Mobilitazione Popolare, Abu Mahdi al-Muhandis. Che l’Iran stia attuando la sua vendetta?

Related Articles

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Stay Connected

0FansLike
0FollowersFollow
0SubscribersSubscribe
- Advertisement -spot_img

Latest Articles