giovedì, Aprile 25, 2024

Cina: iniziano i processi contro i manifestanti di Hong Kong

È stato disposto il primo rinvio a giudizio a carico del cittadino di nazionalità straniera residente a Taiwan per il coinvolgimento nelle proteste di Hong Kong che lo scorso anno hanno quasi distrutto la città.

Venerdì la stampa nazionale ha reso noto che l‘ufficio di sicurezza nazionale della città di Guangzhou ha concluso le indagini disponendo il rinvio a giudizio di Lee Henley Hu Xiang cittadino del Belize (America Centrale) residente a Taiwan.

L’articolo pubblicato dal Nanfang Daily, il quotidiano statale della provincia di Guangdong, ha riferito che “Le indagini dell’agenzia di sicurezza nazionale hanno confermato che l’indagato ha fornito dagli Stati Uniti una grande quantità di fondi a gruppi sovversivi, ha complottato con esponenti anti-cinesi stranieri interferendo negli affari di Hong Kong e agevolato il compimento di attività criminali che hanno messo in pericolo la nostra sicurezza nazionale”.

Al Guardian la procura di Guangzhou ha chiarito che al momento manchino dichiarazioni ufficiali sul caso.

Le manifestazioni pro-democrazia

Le potreste, iniziate il 15 marzo del 2019, sono scoppiate dopo anni di crescenti tensioni nei rapporti tra Hong Kong, a sudest della Cina, e governo centrale.

Hong Kong è – o dovrebbe essere – una regione amministrativa autonoma cinese.

Già nel 2014 i cittadini erano insorti disapprovando la riforma elettorale decisa dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale, in una rivolta conosciuta come la “rivoluzione degli ombrelli”.
Le forze di polizia avevano da subito sedato la sommossa decretando un brusco arresto delle aspirazioni democratiche della popolazione.

Tuttavia nel 2016 avevano nuovamente fatto breccia nell’elettorato di Hong Kong le istanze del localismo e del movimento a favore dell’indipendenza, il che ha portato a rinnovate tensioni e all’incarcerazione di alcuni attivisti democratici nel corso dell’anno successivo.

Nel 2019, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la promulgazione del disegno di legge sull’estradizione dei latitanti verso Paesi con i quali la Cina non ha accordi di estradizione. 

La popolazione ha accusato le autorità di Pechino di aver violato il sistema legale e giuridico – noto anche come “un paese, due sistemi” – esistente tra Hong Kong e la Cina continentale sottoponendo i cittadini di Hong Kong alla giurisdizione de facto dei tribunali controllati dal Partito Comunista Cinese.

Le indagini e il rinvio a giudizio

Le autorità cinesi hanno riferito come Lee Henley Hu Xiang abbia fatto perdere le sue tracce nell’agosto dello scorso anno a seguito di un viaggio da Taiwan a Shenzhen, importante città commerciale cinese.

A settembre l’ufficio per gli affari di Taiwan – operante sotto l’egida del Consiglio di stato cinese – aveva annunciato di aver promosso le indagini nei confronti dell’attivista perché sospettato di “aver commesso atti criminali in grado di pregiudicare la sicurezza nazionale”.

Lee è stato poi fermato e arrestato nei pressi Guangzhou, secondo quanto riportato dai media nazionali.

Nello stesso periodo, le autorità avevano mosso accuse simili ad altri tre cittadini, per i quali è stato analogamente disposto l’arresto.

La posizione di Pechino

Dall’inizio delle proteste dell’estate scorsa, il governo di Pechino e la stampa nazionale hanno ripetutamente incolpato le “forze straniere” – soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna – di aver alimentato le contestazioni di Hong Kong e di aver alimentato le proteste come benzina gettata sul fuoco.

Alcune forze straniere stanno cogliendo l’occasione per attuare la propria strategia di ostacolare la Cina cercando di creare scompiglio a Hong Kong”, ha commentato il China Daily nel giugno dello scorso anno.

Gli Stati Uniti dovrebbero sapere una cosa” ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, riferendosi ai disordini scoppiati a luglio: “Che Hong Kong è della Cina e non permettiamo nessuna interferenza straniera”.

A rincarare la dose era stato anche il viceministro degli Esteri il quale, a novembre, aveva avvertito gli Stati Uniti di “smettere d’intromettersi negli affari di Hong Kong e interferire nelle questioni interne della Cina”.

Di certo, Pechino non è famosa per la sua “morbidezza” nei confronti degli oppositori politici.

Questo venerdì, l’esponente politico pro-democrazia Au Nok-hin è stato condannato a 140 ore di servizio alla comunità dopo essere stato condannato per aggressione con l’accusa di aver danneggiato l’udito di un ufficiale di polizia per aver parlato attraverso un megafono.

Al contrario, nonostante le ripetute brutalità degli ufficiali di polizia denunciate dai manifestanti, non è stata mossa nessuna accusa a carico degli agenti.

Secondo alcune indiscrezioni, gli attivisti sarebbero stati segnalati per il conferimento del Premio Nobel della Pace per l’anno 2019 – che si contenderebbero con la giovane Greta Thunberg – viste e considerate le modalità con cui si sono svolte le proteste, la determinazione della popolazione, le richieste avanzate nonché il rispetto dimostrato dai partecipanti.

Oltre alle accuse mosse a Lee sarebbero più di 7000 i cittadini – per lo più giovani – ad essere sotto indagine o arrestati in attesa del processo.

Pertanto questo non sarà che il primo di tanti processi che saranno aperti nei prossimi mesi contro i cittadini stranieri che abbiano preso parte alle manifestazioni proseguite per buona parte dello scorso anno. 

Sulla questione l’ONU ha avvertito Hong Kong di essere sorvegliata “da molto vicino” circa gli arresti disposti nei confronti degli attivisti, segnalati per un possibile Premio Nobel.

Per approfondire: Manifestanti di Hong Kong nominati per il Nobel per la Pace

L’ondata di arresti

Negli ultimi giorni, le forze dell’ordine hanno messo in campo un vero e proprio scenario da “stato di polizia”, eseguendo diversi arresti tra gli attivisti pro-democrazia che hanno manifestato a Hong: delle 15 personalità di spicco fermate c’era anche l’81enne avvocato e fondatore del Partito Democratico, Martin Lee. 

Gli interventi promossi dalle autorità di Pechino a Hong Kong non hanno fatto che aggravare la crisi politica in città, soprattutto perché disposti a seguito del rinnovo del consiglio legislativo a settembre.

Prima di essere arrestato, Martin Lee aveva riferito al Guardian che esponenti filo-governativi, le autorità di Pechino e loro sostenitori stessere “ricorrendo a qualsiasi trucco” per assicurarsi che i candidati democratici non potessero partecipare alle elezioni di settembre. 

Lee aveva anche aggiunto: “Ora stanno facendo di tutto per agevolare i candidati pro-Pechino, nonostante alcuni esponenti filo-cinesi avessero affermato che ciò fosse controproducente”. 

Alle elezioni del consiglio distrettuale tenutesi lo scorso anno ad Hong Kong, la stragrande maggioranza degli elettori aveva votato a favore dei candidati democratici, nonostante le ripercussioni scaturite dalle manifestazioni alla vita sociale ed economica della città.

Quello che ci si aspetta è che i cittadini torneranno a riversarsi sulle strade chiedendo il rispetto dei loro diritti non appena saranno revocate le misure di distanziamento sociale imposte per il contenimento dell’epidemia di coronavirus.

Related Articles

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

- Advertisement -spot_img

Latest Articles