giovedì, Marzo 28, 2024

C’era Una Volta a Hollywood – recensione e spiegazione del finale

Il re del cinema postmoderno Quentin Tarantino è tornato, e non è da solo: ad accompagnarlo in questa nuova avventura troviamo un cast da urlo costituito da Leonardo Di Caprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Al Pacino, Dakota Fanning, Luke Perry ed altri. Il risultato prende una forma, come sempre, molto strana ed ottiene un titolo molto evocativo “C’era Una Volta A Hollywood”. Un film che unisce invenzione a fatti realmente accaduti, ma che si prende una licenza inaudita sul finale: farò di tutto per non spoilerarlo durante la recensione, tuttavia ci tornerò nella parte finale dell’articolo. Chi non vuole spoiler si fermi dunque prima della seconda immagine.

Lo scopo del film è quello di raccontare una Hollywood degli anni ’60 che non esiste più attraverso il paragone fra tre personaggi chiave: l’attore televisivo in declino Rick Dalton (Di Caprio), la sua controfigura che non riesce più a lavorare stabilmente nel cinema a causa di una pesante accusa legale (Pitt) ed una giovanissima attrice in piena ascesa, la bellissima ed eterea Sharon Tate (Robbie). Dietro di loro aleggia l’ombra della Family di Charles Manson, che com’è noto colpì Hollywood per punire l’industria dello spettacolo per non aver dato al suo leader la possibilità di sfondare nel mondo dello spettacolo: una presenza che all’inizio possiamo solo intravedere, ma che si farà sempre più ingombrante fino allo scoppiettante finale.

Recensione C’era Una Volta A Hollywood

Lo stile di regia di Quentin Tarantino non si smentisce: una pungente ironia pervade anche le parti più terribile, tutto è visto attraverso un distaccato filtro di post-modernità che riesce a trasformare in un efficace intrattenimento perfino l’apertura di una scatoletta di cibo per cani, e la cura per i dettagli è talmente maniacale che ogni singolo frammento di film riesce a comunicare una valanga d’energia ed emozione. Non a caso faccio subito riferimento alle scene del “simpatico” Pitbull, che avrà un ruolo inaspettatamente importante nel film e viene gestito così bene da garantire una performance intensa come quella di un attore umano. E c’è da dire che, di attori umani, qui abbiamo davvero il meglio che si possa desiderare.

Interpretando il personaggio di un attore, Leonardo Di Caprio si trova di fatto a dover interpretare una decina di ruoli diversi in uno, riconnettendoli però sempre alla psicologia fragile e sconnessa di un attore in declino che dà man forte alla piega negativa della sua carriera fra alcolismo ed autocommiserazione: la sua performance è da Oscar. Grandioso anche Brad Pitt, un vero e proprio macho ricco di carisma e virilità ma che nel profondo soffre per via di una condizione infamante che gli impedisce di vivere la sua carriera lavorativa come vorrebbe: nel contempo il personaggio non si tira mai indietro da situazioni di azione e rischio che gli permettono percepire adrenalina e vitalità, un’attitudine che gli rovinerà ancora di più la carriera e lo porterà a diretto contatto con la Family ma gli permetterà anche di salvarsi la pellaccia. In lui si può intravedere quello che la storia di Charles Manson avrebbe fatto su una persona completamente diversa.

Charles Manson il capo della “Family” è morto

Di contro, la protagonista femminile Sharon Tate (l’unica fra i tre ad essere esistita davvero) è all’apice della sua carriera: una somma e febbrile felicità la pervade nel profondo dell’anima, ed a questo si unisce una bellezza ed un carisma così intensi e potenti da risultare poetici, eterei, meravigliosi. La sua intensa bellezza va a braccetto con il suo grande talento e la toccante storia del suo personaggio, il tutto si sprigiona con una potenza inebriante e travolgente, anche alla luce dell’inesorabile proseguire della storia di cui siamo tutti a conoscenza. Una delle caratteristiche più intense del film è proprio la continua contrapposizione fra la vita di Sharon e quella di Rick: situazioni vagamente simili, connesse però alle rispettive carriere in ascesa ed in declino, vengono continuamente paragonate mostrando al pubblico quelle che sono le normali reazioni dell’essere umano sia quando la propria condizione decolla che quando precipita.

La vicenda di “C’era Una Volta A Hollywood” prosegue intrecciando personaggi immaginari a persone reali come Bruce Lee, Roman Polanski, Charles Manson ed altri: si crea dunque una storia surreale, una sorta di dimensione parallela alla nostra che riscrive i fatti, immagina cosa sarebbe potuto accadere mischiando le carte in tavola e, approfittando di questo spunto narrativo, mostra al pubblico le dinamiche di una Hollywood che non esiste più da molti decenni. Il carisma di Manson, mostrato o citato in personaggi fittizi in decine di altri film, qui è appena accennato, sottolineato indirettamente con le particolari interpretazioni e presenze sceniche dei vari attori ed attrici che interpretano la parte degli adepti della family: ragazzi che sembrano ironiche maschere horror da teatro, ragazze conturbanti ma caratterizzate da un fascino oscuro e solo apparentemente benevolo, un vecchio completamente soggiogato dal volere della Family.

Tutti questi elementi sono intreccianti con eleganza e visionaria energia, con una gestione dei flashback semplicemente perfetta ed un continuo intrecciarsi di vicende sovrapposte temporalmente che arrivano agli occhi dello spettatore come un tutt’uno: proprio in questo sta l’intima potenza del film, un’opera a dir poco straordinaria che potrebbe scrivere la storia del cinema quasi alla stregua di “Kill Bill”. Probabilmente i premi pioveranno su questo lavoro: non sono da escludere l’Oscar per il Miglior Film e per Di Caprio come miglior attore, e chissà che anche Brad Pitt e Margot Robbie non riescano ad aggiudicarsi i premi più importanti della propria carriera proprio grazie a “C’era Una Volta A Hollywood”.

Spiegazione del finale di C’era Una Volta a Hollywood

Chi ha visto il film e conosce la storia di cui si parla è sicuramente rimasto stupefatto dal finale di “C’era Una Volta A Hollywood”: la Family non colpisce più la casa di Polanski ma quella di Rick, provando dunque ad uccidere lui, Cliff e Francesca (la neomoglie di Dalton). Sharon Tate ed i suoi amici non sono quindi coinvolti in nessuna carneficine, superando incolumi la notte del 9 agosto 1969. Il finale è una truculenta scena piena di sangue e violenza, in cui Cliff ed il suo amato cane fanno fuori due assassini e ne riducono molto male una terza, che sarà finita da Rick con il suo fenomenale lanciafiamme: Quentin vuole immaginare un mondo giusto in cui gli assassini hanno scelto l’obiettivo sbagliato e non sono riusciti a portare a termine il proposito di morte, venendo dunque uccisi nel modo più violento e splatter possibili da chi doveva essere una vittima.

Tarantino riscrive la storia dando quindi uno sfogo massimo al suo estro artistico: alcuni penseranno abbia mancato di rispetto a Sharon, Roman e tutti coloro la cui vita fu cambiata radicalmente da quella notte, ma in realtà si tratta di una loro profonda celebrazione, di uno sforzo artistico finalizzato a generare una dimensione in cui la bellezza ed il talento di Sharon non siano stati stroncati via da cotanta brutalità. Il quesito che, probabilmente, Tarantino si pone è lo stesso che ci poniamo tutti: chissà come sarebbe andata la carriera futura di Sharon Tate se quella notte fosse andato tutto diversamente. “C’era Una Volta A Hollywood” non può darci una risposta, ma ci lascia con un velo di eccitazione scatenato dalla carneficina dei carnefici e di malinconia generato dalla realtà dei fatti, che rimane inalterata nonostante il film.

Umberto Antonio Olivo
Umberto Antonio Olivo
Nato nel segno della musica, ho sempre scritto principalmente di pop e R&B. Col periodico mi sono scoperto in grado di scrivere anche di cinema, attualità, scienza, politica e svariati altri argomenti. Spero di potervi soddisfare con ogni tipologia di articolo possibile!

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